December 21, 2024
La Confederazione Cobas condivide questi due importanti appuntamenti , a cui sollecita le sedi territoriali a un profiquo impegno.
Napoli, sit in dei malati di tumore al cimitero di Giugliano: «Per noi guerra impari con i veleni»
di Gennaro Di Biase
“Ogni giorno per noi è il giorno dei morti, per questo siamo venuti a manifestare qui”. Lo dice Mary Pianese, attivista e cittadina di Giugliano. Attorno a lei, molti altri giuglianesi, riuniti in sit in davanti all’ingresso del cimitero, dove sono stati appesi cartelli con la scritta “Giugliano non deve morire”.
Molti dei manifestanti sono malati di tumore e stringono tristemente i loro referti medici tra le mani. Altri sono genitori di bimbi che non ci sono più, ai quali i medici hanno detto: “Il problema di vostra figlia è che voi venite dal triangolo della morte: è un ambiente inquinato che mangiamo, beviamo e respiriamo. Specialmente i bambini, che hanno meno anticorpi, sono a rischio”, come racconta Pina Palma, mamma di Francesca, che aveva solo 9 anni quando la leucemia l’ha aggredita.
Mentre parla, Pina mostra la foto contenuta nel libricino dedicato a sua figlia. E nei suoi occhi c’è tutta la tristezza e l’amore del mondo. Chiedono chiarezza, parenti e malati riuniti a Giugliano davanti al cimitero. Chiarezza su chi ha avvelenato e chi bonificherà la loro terra. E sono tanti. Alcuni di loro, forse, si sarebbero ammalati comunque, anche se fossero stati svedesi o americani. Ma il punto è proprio questo: non sapere come e quando la “malattia”, (che è il nome del cancro a Giugliano), li ha avvelenati.
Non sapere se si è stati uccisi o meno. Per esempio Maria, 50 anni, moglie di Antonio De Cicco, malata alla tiroide, è grave. Antonio arriva al sit col fiatone, proprio per via della kemio: “Il medico ci ha detto che siamo tutti a rischio in questa zona. Non passerà molto tempo e ci ammaleremo tutti”.
“Il dottore che operò mia madre – racconta Luisa, mostrando l’ennesimo referto medico da cancro – disse proprio così: ‘In questo posto moriremo tutti di tumore, me compreso'”.
Anche Michelina Pirozzi, anche lei di 50 anni, è malata alla tiroide, ma ha trovato la forza di venire al sit in. Mostra il suo referto e racconta che “deve trovare ogni giorno altra forza per addormentare il mostro che ho dentro”. Parla anche Rosaria Tutino, di ‘Donne e non solo”: “Qui tutte le famiglie hanno un problema di cancro, tutte. Ma regna ancora molta omertà su questo. Vorremmo finalmente il registro tumori: la gente comune ora deve sapere”.
Perfino il custode del cimitero, Emanuele Palumbo, non si capacita: “Qui arriva sempre più gente morta di tumore. I parenti ormai non lo nominano nemmeno più il tumore. Dicono che è morto ‘per la malattia’”. Una metonimia tanto triste da non aver bisogno di commenti. C’è una zona, nel cimitero di Giugliano, dove i defunti hanno quasi tutti meno di 40 anni.
Lì c’è, Giulia Angelini, che ha perso Alessia nel 2012, quando aveva solo 9 anni. “Seppellire i propri figli non è normale – dice-. Penso che non sia impossibile ottenere il registro tumori dalle autorità”. Giulia sta coccolando la lapide della sua bambina: la riempie di fiori e giocattoli. E davanti a questa scena viene da solo da sperare che il da farsi si faccia in fretta.
Terzigno, veleni cancerogeni nella discarica della rivolta. Ma il rapporto è insabbiato
di Vincenzo Iurillo
L’inganno ci fu all’inizio. Quando fecero credere agli abitanti di Terzigno e dintorni che quella terra verde e rigogliosa ai piedi del Vesuvio avrebbe goduto delle tutele di Parco Nazionale. Invece lì è stata aperta una discarica. Ci hanno sversato centinaia di migliaia di tonnellate di monnezza. Volevano aprirne una seconda. Ci fu una rivolta di popolo e il governo Berlusconi&Bertolaso dovette ripiegare in ritirata. Era l’autunno del 2010, gli scontri iniziarono proprio a fine ottobre e proseguirono a novembre. Ma le tracce di quella stagione non sono state eliminate. I veleni continuano a circolare nel corpo malato di questo territorio. Si insinuano nelle falde acquifere. Rendono a rischio l’aria e i gas sprigionati dai rifiuti intombati.
La discarica di Cava Sari 2, in località Pozzelle, nel cuore del Parco, è chiusa da più di un anno. La spazzatura è stata coperta di argilla per la ‘messa in sicurezza’, mentre è stato realizzato un impianto per l’estrazione del biogas, sostanza in grado di produrre energia da mettere in commercio. Il pericolo per la salute pubblica, però, è una questione ancora aperta. “Il gestore all’atto dell’ispezione non ha segnalato altre situazioni di criticità oltre quelle note e relative prevalentemente ai parametri ferro, manganese e fluoruri. Ciò contrasta con quanto descritto nella Relazione di gestione 2012, pagina 22, in cui il gestore dichiara l’avvenuto superamento dei limiti, sistematicamente e a partire dal mese di aprile 2012, in tutti i pozzi di monitoraggio, per il tricloropropano e il dibromoetano”.
Sono due sostanze gravemente cancerogene. Che sbucano in maniera inquietante nel “rapporto conclusivo delle attività di ispezione ambientale ordinaria” redatto dall’Agenzia Regionale per l’Ambiente della Campania (Arpac) sulla discarica Cava Sari. Un rapporto riservato di 18 pagine, datato fine maggio. Trasmesso al settore Ecologia della giunta regionale, al sindaco di Terzigno, e per conoscenza ad Asìa ed Ecodeco (gruppo A2A), le società che si occupano della gestione ‘post-mortem’ dello sversatoio. Un documento che sarebbe rimbalzato da un cassetto all’altro di qualche ufficio senza essere diffuso al pubblico, se non fosse stato della tenacia dell’avvocato ambientalista Maria Rosaria Esposito.
La legale ha chiesto e ottenuto l’accesso agli atti dell’agenzia regionale, estraendone una copia. Ed ora commenta allarmata: “Il Comune di Terzigno e la Regione Campania sanno da maggio che c’è un problema di grave inquinamento delle falde acquifere e tutto tace, mentre la popolazione non sa e non deve sapere. A tre anni dagli scontri di Terzigno, che fecero balzare agli onori della cronaca una situazione terrificante, in cui si è stata una installata una discarica (la Cava Sari 2, ndr) all’interno di un’altra vecchia discarica (Cava Sari 1, ndr), mai messa in sicurezza, accanto a 800 ecoballe, è sceso un silenzio assordante. Più pericoloso e spaventoso dei gas lacrimogeni e dei manganelli di Stato”.
Il rapporto Arpac indica i risultati delle analisi dei campioni di acqua prelevati nei tre pozzi-spia, uno a monte e due a valle della discarica. “Il campione relativo al pozzo PZ1 (a monte, ndr) non rientra nei limiti normativi per i parametri fluoruri, ferro e manganese. Il campione relativo al pozzo PZ2 (a valle, ndr) non rientra nei limiti normativi per i parametri fluoruri, alluminio, manganese e nichel. Il campione relativo al pozzo PZ3 (secondo a valle, ndr) non rientra nei limiti normativi per i parametri fluoruri, ferro e manganese”. Conclusioni: “I saggi di tossicità eseguiti sui tre pozzi mostrano livelli di tossicità cronica”. Che potrebbero anche essere spiegati, per alcune sostanze, con l’origine vulcanica dell’area. Resta però un’anomalia: i valori di un pozzo a valle sono diversi da quelli del pozzo a monte. Sono l’alluminio e il nichel, fuori norma del secondo pozzo. Come se l’acqua scendesse con determinate caratteristiche e arrivasse a valle più inquinata. Un segnale di una probabile infiltrazione nella falda delle schifezze provenienti dalla discarica.
A preoccupare l’avvocato Esposito c’è anche una circostanza evidenziata in neretto in una parte del rapporto. “Non risultano pervenuti i dati sulla misura della percentuale di ossigeno e metano presso i pozzi di captazione per il controllo della esplosività dei biogas”. Si tratta di sostanze altamente infiammabili, bisogna saperle tenere a bada. L’Arpac sottolinea che mancano alcuni dati importanti nel protocollo di messa in sicurezza della zona. Chi lo sa, non dovrebbe stare tranquillo. E dovrebbe intervenire.
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