Un torto subito da un lavoratore è un torto fatto a tutti (IWW)

Riunione per le iniziative per Michele libero subito

Postato il 28 Luglio 2014 | in Eventi, Italia, Scenari Politico-Sociali | da

LUNEDI’ 28 LUGLIO, ORE 17,30 alla CASA ROSSA a SPOLETO, via XIV GIUGNO n° 26, quartiere Casette (300 mt. dallo svincolo nord di Spoleto) riunione per organizzare le iniziative per la LIBERTA’ di MICHELE

COMITATO 23 OTTOBRE
Per scrivere, cartoline, lettere, inviare pacchie libri in carcere a Michele, l’indirizzo è:
MICHELE FABIANI – CASA CIRCONDARIALE DI FERRARA – VIA ARGINONE 327 – 44100 – FERRARA
Per inviare contributi a favore della DIFESA di MICHELE::
c.c. Postale n° 85325504 Intestato a: Antonello Briguori e Giancarlo Donati – Per la difesa di Michele Fabiani –

 

Il GENERALE, GIAMPAOLO GANZER, COMANDANTE DEI ROS DEI CARABINIERI

Iniziamo da colui che la mattina del 23 ottobre 2007 si presentò davanti alle telecamere per annunciare lo smantellamento della “cellula terrorista spoletina”, prima notizia di tutti i TG di quel giorno; una balla colossale, come dimostrato dalla sentenza d’appello.

«Traditore per smisurata ambizione». Questa una delle motivazioni per le quali i giudici dell’ottava sezione penale di Milano hanno condannato a 14 anni di carcere il generale del Ros Giampaolo Ganzer, all’interdizione dai pubblici uffici e alla sanzione di 65 mila euro. Correva il 12 luglio 2010 quando arrivò questa sentenza di primo grado (8255/10). Secondo il Tribunale, il comandante del Reparto operativo speciale dell’arma, fiore all’occhiello dei Carabinieri, tra il 1991 e il 1997 «non si è fatto scrupolo di accordarsi con pericolosissimi trafficanti ai quali ha dato la possibilità di vendere in Italia decine di chili di droga garantendo loro l’assoluta impunità», dunque «Ganzer ha tradito per interesse lo Stato e tutti i suoi doveri tra cui quello di rispettare e fare rispettare la legge».

Tutto questo possibile perché «all’interno del raggruppamento dei Ros c’era un insieme di ufficiali e sottufficiali che, in combutta con alcuni malavitosi, aveva costituito un’associazione finalizzata al traffico di droga, al peculato, al falso, al fine di fare una rapida carriera».

In Italia la legge – com’è abbastanza noto – non è uguale per tutti.

Il generale Ganzer è rimasto al suo posto di comando fino alla pensione. Il 13 dicembre 2013 la condanna sia pure ridotta a 4 anni e 11 mesi di reclusione è stata confermata in appello.

La pm Maria Luisa Zanetti aveva chiesto 27 anni per il generale Ganzer, ma il tribunale aveva ridotto la condanna a 14 anni, in quanto la Corte presieduta da Luigi Capazzo non ha riconosciuto il reato di associazione a delinquere. Ma non ha concesso nemmeno le attenuanti generiche all’alto ufficiale, in quanto «pur di tentare di sfuggire alle gravissime responsabilità della sua condotta, Ganzer ha preferito vestire i panni di un distratto burocrate che firmava gli atti che gli venivano sottoposti, dando agli stessi solo una scorsa superficiale». Secondo i giudici, inoltre «Ganzer non ha minimamente esitato a fare ricorso a operazioni basate su un metodo assolutamente contrario alla legge ripromettendosi dalle stesse risultati di immagine straordinari per sé stesso e per il suo reparto». 17 i condannati nel processo, tra cui il narcotrafficante libanese Jean Bou Chaaya (tuttora latitante) e molti carabinieri: il colonnello Mario Obinu (ai servizi segreti) con 7 anni e 10 mesi, 13 anni e mezzo a Gilberto Lovato, 10 anni a Gianfranco Benigni e Rodolfo Arpa, 5 anni e 4 mesi a Vincenzo Rinaldi, 5 anni e 2 mesi a Michele Scalisi, 6 anni e 2 mesi ad Alberto Lazzeri Zanoni, un anno e mezzo a Carlo Fischione e Laureano Palmisano.

La clamorosa condanna del generale Ganzer fu accolta tra il silenzio dell’allora ministro della Difesa Ignazio La Russa, la solidarietà dell’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni e la difesa dell’ex procuratore antimafia Pierluigi Vigna, benché questa brutta vicenda che “scuote l’arma” avrebbe dovuto portare alla sospensione della carica e quindi del servizio di Ganzer, in ottemperanza all’articolo 922 del decreto legislativo 15 marzo 2010, la cosiddetta “norma di rinvio” che dice: «Al personale militare continuano ad applicarsi le ipotesi di sospensione dall’impiego previste dall’articolo 4 della legge 27 marzo 2001, numero 97” che attiene alle “Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche” e che all’articolo 4 dice espressamente: “In caso di condanna, anche non definitiva, per alcuno dei delitti indicati all’articolo 3 comma 1, i dipendenti sono sospesi dal servizio». Tra i delitti considerati c’è pure il peculato, reato contemplato nella sentenza a carico di Ganzer.

Eppure, da allora, il generale Ganzer è rimasto in carica fino alle pensione e nessun ministro (La Russa allora, Di Paola dopo), tantomeno il capo dello Stato e capo delle forze armate pro tempore Giorgio Napolitano, gli ha fatto rispettare la legge.

Ganzer ha continuato a dirigere il Ros, ad occuparsi di inchieste della portata di Finmeccanica, degli attentatori dell’ad di Ansaldo Roberto Adinolfi, senza contare le presenze ai dibattiti sulla legalità al fianco dell’ex sottosegretario del Pdl Alfredo Mantovano, suo grande difensore. Infine, indisturbato Ganzer ha lasciato il comando del Reparto. Non per l’infamante condanna ridotta ma confermata in appello il 13 dicembre 2013 (4 anni e 11 mesi di reclusione). Ma “per raggiunti limiti d’età”, e andare in pensione. Da «Traditore per smisurata ambizione» a fruitore di (smisurata?) pensione. Protetto dagli uomini delle istituzioni e alla faccia di chi la legge la rispetta.

I 5 anni meno un mese di reclusione di Ganzer, sono molto più del doppio della pena inflitta in appello al “capo” dell’inesistente cellula terrorista spoletina.

Tutto normale nel paese colonia a stelle e strisce, dove la droga si smercia impunemente nelle basi USA e NATO. No, in uno Stato di diritto non è normale che un generale, che ricopre un incarico così importante nei Carabinieri, rimanga al suo posto nonostante fosse stato indagato, rinviato a giudizio e poi addirittura condannato a 14 anni di carcere per reati gravissimi. Né è normale che resti al suo posto nonostante sia stato condannato anche all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. No. Non è normale. E non è da Paese civile.

Quale credibilità mostra di avere uno Stato che consente a un generale dell’Arma, condannato in primo grado e in appello, di continuare a restare al suo posto e di proseguire negli arresti? Poca o nessuna. Una mancanza di credibilità che genera l’ennesimo ossimoro istituzionale: un generale condannato che arresta degli indagati. Stride non poco, vero? Ancora più stridente è poi vedere il Generale condannato mentre illustra i particolari degli arresti in una conferenza stampa. Tradotto: nonostante la condanna, si è deciso di lasciarlo al suo posto, senza nemmeno avere l’accortezza di evitare inopportune apparizioni.

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