Un torto subito da un lavoratore è un torto fatto a tutti (IWW)

Se «Il Fatto» si schiera contro i giudici

Postato il 29 Agosto 2014 | in Italia, Scenari Politico-Sociali | da

Al quo­ti­diano «Il Fatto », si sa, piace andare (o sem­brare) con­tro­cor­rente. Anche quando – e in effetti è caso più che raro – si tratti di con­tra­stare giu­dici e sen­tenze. Nel caso in que­stione, per giunta, i giu­dici son quelli più alti e la sen­tenza della Corte Costi­tu­zio­nale con cui, il 12 feb­braio 2014, la «Fini-Giovanardi» è stata abolita.

Gli effetti “car­ce­ro­geni” di quella legge, intro­dotta sur­ret­ti­zia­mente nel 2006 dal governo Ber­lu­sconi, sono stati annual­mente docu­men­tati in un Libro Bianco rea­liz­zato da Forum Dro­ghe, altre asso­cia­zioni e comu­nità tera­peu­ti­che. In breve: il numero degli ingressi in car­cere per droga è arri­vato a supe­rare il 30% del totale, quello dei pre­senti in car­cere sfiora il 40%. Una parte rile­vante (almeno il 30–40%) è ristretta in forza del comma 5 dell’articolo 75 della legge sulle dro­ghe, quello che san­ziona le con­dotte di «lieve entità», ovvero il pic­colo spac­cio o la deten­zione a fine per­so­nale. Va poi con­si­de­rato che un dete­nuto su quat­tro è tos­si­co­di­pen­dente; e così pure il fatto (con la minu­scola) che il 45% delle denunce per droga riguarda i cannabinoidi.

Lo scan­dalo vero è che alcune migliaia di per­sone con­dan­nate in base alla Fini-Giovanardi, ora cas­sata, con­ti­nuano arbi­tra­ria­mente a restare in car­cere, almeno tre­mila quelle con­dan­nate per la «lieve entità». Tanto che una rete di asso­cia­zioni e comu­nità ha pro­mosso la cam­pa­gna «Can­cel­lare le pene illegittime».

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