Un torto subito da un lavoratore è un torto fatto a tutti (IWW)

Gli operai della Kazova (Turchia) in Italia, una storia di “autogestione contro”

Postato il 17 Settembre 2014 | in Lavoro Privato, Mondo, Scenari Politico-Sociali, Sindacato | da

Gli operai di una fabbrica occupata contro i dettami della Troika

Gli operai turchi che hanno occupato la loro fabbrica tessile (Kazova) sono in giro per l’Italia , un tour organizzato da Area globale, Clash city workers e autorganizzati. A Pontedera, nella sede dei Cobas della Valdera, in provincia di Pisa, c’è stata nei giorni scorsi una partecipata iniziativa organizzata da realtà sociali di Lucca e dalla Confederazione Cobas di Pisa.

Per i Cobas l’esperienza in Italia delle fabbriche occupate, tranne rare eccezioni, non ha le stesse caratteristiche dell’Argentina e della stessa Kazova, a tal riguardo basti ricordare che le cooperative sorte per rilevare fabbriche e aziende dismesse sono nate con il sostegno economico della lega delle Cooperative, di banche locali e l’apporto di enti locali, non esperienze rivoluzionarie e autorganizzate ma prodotto di una pratica capitalistica che individua nelle cooperative lo strumento adatto per mantenere inalterata la organizzazione verticistica del lavoro con uno sfruttamento intensivo degli operai che hanno investito il loro tfr e gli arretrati come capitale sociale di entità produttive a capo delle quali loro stessi non adranno mai.

Abbiamo intervistato nella occasione Nihat, operaio della Kazova.

La Kazova aveva piu’ di 300 operai, macchinari moderni per prodotti naturali , una lavorazione non antiquata e destinata ai mercati esteri. Alla fine oltre i due terzi della forza lavoro erano stati licenziati, il nostro salario non arrivava mai a 400 euro al mese nonostante una media giornaliera di oltre 10 ore lavorative.

La decisione del padrone di dismettere la produzione non scaturiva dalla crisi del prodotto ma dalla ricerca di profitti dove il costo del lavoro è ancora più contenuto. I prodotti realizzati, anche un singolo prodotto, all’estero era venduto per un prezzo equivalente alla paga mensile di un operaio, i margini di profitti erano elevatissimi come del resto la nostra miseria. Con quello stipendio non riuscivamo a pagare le spese sanitarie o educative o le bollette, era perfino difficile acquistare anche i generi di prima necessità.

“Quando la fabbrica ha chiuso, abbiamo toccato con mano – racconta l’operaio – quanto lunghi siano i tempi della giustizia borghese, se poi giustizia possiamo definirla. Tra costi dei legali, spese processuali e altro ancora, avremmo speso cifre ingenti e assolutamente inaccessibili senza alcuna speranza di avere giustizia e di riconquistare un lavoro, magari piu’ dignitoso e con un salario adeguato. Noi operai viviamo nelle baraccopoli che sorgono attorno alle città turche, slum dentro i quali nel corso degli anni si è consolidata l’opposizione alla dittatura militare, ai fascisti e allo sfruttamento capitalista, dentro questi slum oggi sta nascendo una nuova classe conflittuale con il capitale e le sue leggi di accumulazione”.

Quando avete deciso di occupare la fabbrica?

Prima di decidere , in assemblea, l’occupazione, abbiamo organizzato mesi di presidi, una tenda e un presidio permanente davanti ai cancelli della fabbrica, meta di tanti altri operai , di studenti, di attivisti di organizzazioni sociali,sindacali e politiche.

Settimane di manifestazioni, presidi spesso oggetto di cariche e repressioni, ogni nostra iniziativa era seguita dalle cariche della polizia, da arresti. In questa situazione una novantina di operai ha mantenuto in vita il presidio guadagnando la solidarietà di altre fabbriche gli operai delle quali ci hanno informato che i padroni della Kazova approfittavano della nostra assenza per portare via i macchinari moderni e non solo quelli. E’ nata cosi’ la idea di occupare lo stabilimento, di far riparare i vecchi macchinari con i proventi delle sottoscrizioni e riprendere la produzione non dei prodotti sofisticati e ad alto tasso innovativo, prodotti piu’ grezzi destinati ad altri mercati ma fonte di un guadagno che ci ha permesso di sopravvivere. In questi mesi le nostre manifestazioni non hanno dato tregua al padrone, lo abbiamo inseguito ovunque andasse e alla fine lo abbiamo costretto a cambiare città.

Che evoluzione ha avuto la vostra lotta?

La lotta intrapresa è diventata un punto di riferimento per altri operai, progressivamente anche i media si sono occupati di noi e non solo la stampa di estrema sinistra che ha supportato la nostra battaglia fin dal primo momento con il movimento rivoluzionario per gli operai. Ci siamo decisi ad occupare la fabbrica e riprendere la produzione dopo avere appurato che i padroni volevano solo la nostra fame e miseria, saccheggiare lo stabilimento rivendendosi i macchinari.

Quando hanno venduto anche l’immobile non ci siamo dati per vinti andando ad affittare un palazzo , in una parte del quale è nato un centro culturale. Per anni lavorando 10 o 12 ore al giorno non siamo riusciti neppure a leggere il giornale, da qui il forte bisogno di un centro culturale dove acquisire una nuova visione del mondo, dove informarsi e acquisire conoscenze che mai abbiamo ricevuto. Del resto tenere gli operai ignoranti è lo strumento migliore per poterli sfruttare.

Quali sono gli insegnamenti tratti dalla occupazione?

Le fabbriche senza lavoratori non possono funzionare, senza i padroni vanno decisamente meglio. Noi siamo riusciti a riprendere la produzione, dividiamo i nostri utili, nessuno si arricchisce sulla pelle dell’altro. Gli utili sono reinvestiti e a decidere è la assemblea, gli operai lavorano sei ore al giorno per un totale di 36 a settimana, nello statuto della cooperativa trovate scritto che i profitti vanno distribuiti e utilizzati a fini sociali. Non pensiamo ad una cooperativa che generi altro sfruttamento, se cio’ accadesse verrbbero meno i principi e le pratiche di lotta che hanno resitituito dignità e forza ai lavoratori. Abbiamo creato una fabbrica socialista pur dentro una società capitalista, da questa lotta gli operai hanno imparato a nutrire fiducia nel collettivismo, nella democrazia reale basata sulla assemblea. La nostra esperienza insegna che con l’acuirsi della crisi capitalistica , si aprono contraddizioni crescenti e maturano le condizioni stesse di una lotta rivoluzionaria che nasce anche dalla coscienza e dalla consapevolezza acquisite dagli operai.

Da mesi portiamo l’esperienza della Kazova in giro , a dimostrare che come noi anche altri operai ce la possono fare, ma ripeto che l’autogestione e l’occupazione sono esperienze concrete di opposizione allo sfruttamento capitalista con un modello organizzativo basato sulla uguaglianza tra tutti i suoi appartenenti. La lotta ha arricchito gli operai, li ha fatti crescere e oggi questi esempi possono essere utili per riprendere il conflitto del lavoro contro il capitale, in Turchia e altrove.

Intervista a cura di Federico Giusti

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