November 28, 2024
Un lavoratore autonomo su quattro è a rischio povertà. Le famiglie delle partite Iva, dei piccoli imprenditori, artigiani, commercianti, liberi professionisti e soci delle cooperative corrono un rischio povertà quasi doppio rispetto a quello delle famiglie di lavoratori dipendenti. I dati sconvolgenti che la Cgia di Mestre ha diffuso ieri sono utili per disegnare il profilo di un segmento importante del quinto stato in Italia: quello del lavoro indipendente.
Tre milioni e mezzo di persone, tra cui oltre 2 milioni di imprenditori individuali, 959 mila professionisti, 442 mila ditte individuali che beneficiano di un regime fiscale di vantaggio. La destra li considera tutti imprenditori; la sinistra non esita a definirli evasori fiscali. Nelle estremizzazioni prodotte da queste rappresentazioni sociali, su questo ampio e invisibile arcipelago del lavoro si sono scaricate iniquità fiscali e vere ingiustizie previdenziali al punto da avere negato al lavoro autonomo i più elementari ammortizzatori sociali. Oggi la maggioranza di queste partite Iva non sono solo povere, ma escluse dalla cittadella fortificata dove si affrontano la grande impresa e il lavoro dipendente o salariato.
Dal 2008 al primo semestre di quest’anno gli autonomi che hanno chiuso l’attività sono stati 348.400 (-6,3%) mentre la platea dei lavoratori dipendenti, è diminuita del 3,8%. La Cgia sostiene inoltre che nel 2013 il 24,9% degli autonomi ha vissuto con un reddito disponibile inferiore a 9.456 euro annui, cioè la soglia di povertà calcolata dall’Istat. Per quelle con reddito da pensioni, il 20,9% ha percepito un reddito al di sotto della soglia di povertà, mentre per quelle dei lavoratori dipendenti il tasso si è attestato al 14,4%, quasi la metà rispetto al dato riferito alle famiglie degli autonomi.
Leggi tutto l’articolo di Ciccarelli tratto da Il Manifesto al seguente indirizzo:
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