December 22, 2024
Dal 2013 il patto di stabilità interno diventa ulterioremente rigido, sotto la gabbia imposta dal Fiscal Compact, e con la sua estensione anche ai comuni sotto i 5.000 abitanti.
È l’ultimo atto di una continua serie di attacchi agli enti locali e al loro ruolo, attuata scienficamente da anni in nome della necessità di contenere la spesa e controllare l’aumento del debito pubblico. Si taglia all’impazzata e finisce che il patto di stabilità viene pagato per tre quarti dalle amministrazioni locali e ben poco dallo Stato centrale, che spreca di più, mentre il debito pubblico continua inesorabilmente a salire.
I calcoli dei tagli complessivi alle spese da effettuare, al netto di quelli già predisposti sui trasferimenti, includono però le spese, non solo correnti, ma anche in conto capitale. Si compromette così la capacità dell’ente locale di finanziarsi nel lungo termine, anche se è virtuoso nella spesa. Si aggiunge inoltre il vincolo del 4% per la spesa per interessi sul debito, rispetto a quella corrente.
Chi e come potrà finanziare la ristrutturazione di scuole a rischio o la messa in sicurezza idrogeologica del territorio, solo per fare l’esempio di due note emergenze nostrane?
Al riguardo va ricordato che lo Stato ha già tolto la possibilità agli enti locali di ottenere mutui a tassi vantaggiosi, come è accaduto in Italia per ben 150 anni fino al 2003. Infatti la Cassa depositi e prestiti, da sempre investita di questo ruolo, una volta diventata Spa con le Fondazioni bancarie nella sua governance e progressivamente indirizzata al ruolo di merchant bank, ha iniziato a prestare a tassi di mercato con mutui a lunga scadenza che oggi sono sopra il 5%. I mutui già stipulati in lire furono rinegoziati nel 2005 ad un tasso del 7%, oggi comunque esorbitante.
Se si rinegoziassero nuovamente questi mutui, portandoli ad esempio al 4%, e i nuovi prestiti fossero emessi al 2,5%, i comuni potrebbero investire da subito in funzione “anti-ciclica”, con un immediato beneficio per l’intera economia nazionale. Questo sarebbe stato, e potrebbe essere ancora, un modo sicuramente migliore di impiegare i due miliardi di euro che invece la Cassa ha contribuito e contribuisce a trasferire alle Fondazioni bancarie, come extra-profitti e plusvalenze nei concambi (si veda rubrica del 15 febbraio). Per non parlare dei due miliardi e passa di dividendi che la Cassa girerà a breve al ministero dell’Economia e alle fondazioni.
Non occorre fare grandi riforme o stravolgimenti legislativi per questo risultato. Occorre però che chi guida oggi la Cassa, l’entusiasta privatizzatore bipartisan e affossatore dei comuni, Franco Bassanini, accetti di cambiare impostazione.
È ancora più auspicabile che il nuovo Parlamento non lasci alle Fondazioni bancarie e al governo il privilegio esclusivo di nominare il nuovo Presidente della Cassa, ma faccia sentire la sua voce e pretenda di audire i potenziali candidati alla carica di Presidente, magari “esodando” l’attuale.
di Antonio Tricarico e Stefano Risso
pubblicato su Il Manifesto del 22/02/2012
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