November 28, 2024
I liberatori sarebbero carnefici, i carnefici sarebbero vittime
1) C. Cernigoi: Tra Foibe e Risiera, la memoria condivisa
2) Trieste Sera del 4/2/48: “Sulle vittime del maggio 1945”
3) M. Barone: 4 febbraio 2015, scandalosa puntata di Porta a Porta sul Giorno del Ricordo e Foibe
4) M. Barone: Dopo il caso di Trieste ora tocca a Monfalcone, una targa per la falsa liberazione
Sul grave degrado ideale e civile in cui versa il Consiglio Comunale di Trieste si veda la documentazione raccolta alla pagina:
http://www.diecifebbraio.info/2014/11/a-trieste-e-scandalo-dire-che-la-citta-e-stata-liberata-dai-partigiani/
Vedi anche:
Lettera aperta all’Assessore e Vicesindaco del Comune di Trieste Fabiana Martini sul caso dei partigiani Giusto e Rodolfo Blasina
http://www.diecifebbraio.info/2015/01/lettera-aperta-sui-partigiani-giusto-e-rodolfo-blasina/
C. Cernigoi: Cattive Memorie
http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2015/01/LE-CATTIVE-MEMORIE.-Riflessioni-sulla-Giornata-della-Memoria-2015.pdf
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Fonte: pagina FB de “La Nuova Alabarda”, 25/1/2015
https://www.facebook.com/LaNuovaAlabarda/posts/200759630094611
TRA FOIBE E RISIERA, LA MEMORIA CONDIVISA
L’istituzione a breve distanza dalla Giornata della Memoria (27 gennaio) del Giorno del Ricordo (10 febbraio), ha di fatto comportato un interessante evoluzione nell’ambito del concetto di “memoria condivisa”.
Vogliamo premettere intanto che bisogna distinguere tra storia e memoria: la storia è una materia scientifica, una raccolta di fatti inequivocabili: le interpretazioni possono poi essere diverse, ma è un dato di fatto, ad esempio, che per i fascisti il 28 ottobre (Marcia su Roma) rappresenta una giornata di festa, mentre per gli antifascisti la fine della democrazia, pur trattandosi di un evento unico, così come il 25 aprile, giorno in cui si celebra la Liberazione dal nazifascismo è per i nazifascisti giornata di lutto.
Ciò detto, entriamo nel merito della questione, iniziando da come l’accezione degli storici Raoul Pupo e Roberto Spazzali (che sembra avere ormai fatto scuola) definisce il concetto di “foibe” e di “infoibati”: “quando si parla di foibe ci si riferisce alle violenze di massa a danno di militari e civili, in larga prevalenza italiani, scatenatesi nell’autunno del 1943 e nella primavera del 1945 in diverse aree della Venezia Giulia e che nel loro insieme procurarono alcune migliaia di vittime. È questo un uso del termine consolidatosi ormai, oltre che nel linguaggio comune, anche in quello storiografico, e che quindi va accolto, purché si tenga conto del suo significato simbolico e non letterale” (in “Foibe”, Mondadori 2003).
Dunque accettiamo questa semplificazione, pur non corretta nel suo significato “letterale”, e facciamo alcuni esempi concreti.
Il 27 gennaio commemoriamo nella Risiera di San Sabba i quattro caduti della missione alleata del capitano Valentino Molina: il capitano stesso, il tenente colonnello Francesco Sante De Forti, Guido Gino Pelagalli e la signora Clementina Tosi vedova Pagani, uccisi dai nazisti il 21/9/44.
Il 10 febbraio, come “infoibati”, commemoriamo Alfredo Germani, Remo Lombroni; Ermanno Callegaris e Giovanni Burzachechi, componenti del Gruppo Baldo agli ordini delle SS, che causarono l’arresto e la morte della Missione Molina: furono arrestati dall’Ozna nel maggio 1945 e compaiono in quell’elenco di incarcerati a Lubiana che risultano “fatti uscire” in date specifiche e dei quali non si sa se furono condannati a morte o trasferiti altrove, tranne Callegaris che morì in prigionia.
Il 27 gennaio commemoriamo gli agenti di custodia deportati nei lager, tra i quali, grazie alla testimonianza di due che furono deportati e rimpatriati (Salvatore Leone e Paolo Lopolito) troviamo il nome di Francesco Tafuro che invece vi perse la vita e possiamo anche leggere (sentenza del Tribunale militare di Padova del 25/10/49) che a causare queste deportazioni fu Ernesto Mari, capo degli agenti di custodia, che a Lopolito disse la sera precedente la partenza: “Come vedi ti ho fatto seguire la via dell’agente Leone: domani partirai per la Germania”. Prosegue la sentenza: “il 18 agosto effettivamente Lopolito veniva deportato e dopo avere subito maltrattamenti e digiuno al campo di concentramento, poté rientrare a Trieste, nei primi del maggio 1945 in miserevoli condizioni”.
Inoltre leggiamo che il 27/4/45 la moglie dell’agente Tafuro, che era stato deportato in Germania, “era andata a pregare il Mari stesso perché intervenisse con la sua opera per far tornare suo marito. A tale preghiera il Mari dichiarò che aveva fatto quanto era nelle sue possibilità e che pertanto non poteva più far nulla, che nessuna colpa egli aveva dell’internamento; e poiché la Tafuro, disperata, alzò il tono di voce egli, prendendola per un braccio la minacciò: stia zitta, che se no, la faccio finire in Germania anche lei”. Lo stesso giorno la donna ricevette la comunicazione che il marito era morto in Germania il 3 marzo”.
Ernesto Mari, arrestato in seguito a queste accuse mossegli dai suoi ex sottoposti, fu ucciso e gettato nell’abisso Plutone da un gruppo di criminali comuni infiltratisi nella Guardia del popolo jugoslava, e pertanto viene commemorato ogni dieci febbraio. Inoltre al suo nome è stata intitolata la caserma degli agenti di custodia a Trieste.
Durante il rastrellamento di Boršt, operato il 10/1/45 da un contingente unito di SS ed Ispettorato Speciale di PS, furono uccisi tre partigiani, mentre un terzo, il ventenne Danilo Petaros fu catturato dopo essere stato gravemente ferito, e fu ucciso in Risiera il 5/4/45, quindi è tra coloro che commemoriamo il 27 gennaio. Ma il 10 febbraio commemoriamo, come “infoibati”, diversi responsabili di queste morti: l’agente dell’Ispettorato Mario Fabian, identificato tra coloro che partecipavano alle torture degli arrestati con la corrente elettrica (che sarebbe stato ucciso da partigiani e gettato nella foiba di Basovizza) e gli altri agenti che compaiono nella “foto ricordo” scattata prima del rastrellamento Matteo Greco (infoibato nella Plutone), Dario Andrian (arrestato e scomparso), Francesco Giuffrida e Gaetano Romano, arrestati e condotti a Lubiana.
Fu ucciso in Risiera il poliziotto aderente ai GAP di Trieste Adriano Tamisari, arrestato dall’Ispettorato Speciale di PS, corpo del quale il 10 febbraio commemoriamo la scomparsa di una sessantina di agenti, in quanto arrestati dagli Jugoslavi. Tra di essi Alessio Mignacca, colpevole di avere ucciso in un tentativo di fuga il partigiano Francesco Potocnik (in via Giulia) e freddato (assieme a Gaetano Romano) nella casa dello zio il giovane Agostino Trobez (28/10/44) che era appena arrivato dal Vipacco per partecipare alla Resistenza. Mignacca, inoltre fu accusato dalla signora Umberta Giacomini, di avere partecipato al pestaggio della stessa, provocandole un aborto (era incinta di quattro mesi), assieme al commissario Collotti (il “capo” della “banda” che da lui prese il nome) e ad altri due agenti, uno dei quali, Domenico Sica, è tra coloro che vengono commemorati il 10 febbraio, in quanto arrestato e scomparso.
Un altro “infoibato” che viene commemorato il 10 febbraio è l’agente dell’Ispettorato Mario Suppani, che fu tra i responsabili dell’arresto (e della successiva esecuzione capitale) dell’anziano militante del Partito d’Azione Mario Maovaz, fucilato il 28 aprile 1944 e degli arresti di altri esponenti del CLN giuliano (Paolo Reti, ucciso in Risiera, Ercole Miani, don Marzari ed altri che furono invece liberati): fu arrestato dagli Jugoslavi e condotto a Lubiana, scomparso.
Fu arrestato dagli Jugoslavi e condotto a Lubiana anche il responsabile dell’arresto di 64 abitanti di Ronchi deportati nei lager, 25 dei quali non fecero ritorno: Ferruccio Soranzio, che partecipò anche ad altri rastrellamenti nella provincia di Trieste, viene commemorato il 10 febbraio, in quanto non risulta avere fatto ritorno in patria.
Questi sono solo alcuni esempi, ma il caso più eclatante di persona che viene commemorata ufficialmente è quello dell’ultimo prefetto di Zara italiana, Vincenzo Serrentino (fondatore del Fascio in Dalmazia, squadrista, ufficiale della Milizia e nel Direttorio del PFR) che aveva anche svolto il ruolo di giudice a latere (assieme a Pietro Caruso, che fu poi fucilato a Roma alla fine della guerra) del Tribunale Speciale per la Dalmazia (presieduto dal generale Gherardo Magaldi), che si spostava in volo da Roma per emanare condanne a morte ad antifascisti. Denunciato come criminale di guerra alle Nazioni unite, si era rifugiato a Trieste, dove fu arrestato l’8/5/45, sottoposto a processo e fucilato a Sebenico un paio di anni dopo.
La storia è unica, si diceva, ma la memoria è diversa. Così, se pure è difficile creare una memoria condivisa tra i parenti di Maovaz e quelli di Suppani, istituendo due giornate diverse per ricordare i diversi morti ci si riesce perfettamente: ecco un altro miracolo italiano!
C. Cernigoi
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http://www.diecifebbraio.info/2015/01/sulle-vittime-del-maggio-1945-a-trieste/
SULLE VITTIME DEL MAGGIO 1945 A TRIESTE
L’articolo che pubblichiamo in allegato, che esprime concetti di stretta attualità, è stato scritto nel febbraio del 1948 e pubblicato su Trieste sera (l’edizione serale del Corriere di Trieste, il quotidiano diretto dal prestigioso giornalista e scrittore-poeta Carolus Cergoly) il 4/2/48. Il che dovrebbe dimostrare innanzitutto che non è veroche di questi argomenti non si è mai parlato, ma soprattutto che gli argomenti che ci sentiamo propinare oggi sul terrore titino, sui crimini degli jugoslavi, sulle stragi delle foibe, sugli orrori dell’occupazione jugoslava, sono quelli dei propagandisti nazionalfascisti, che, nonostante siano stati smentiti 67 anni fa hanno proseguito imperterriti, col risultato che oggi, invece di essere relegati tra gli errori della storia, hanno trovato il consenso di settori sedicenti della sinistra.
Ed aggiungiamo a questo la testimonianza del giornalista e storico Mario Pacor (che negli anni ’60, dopo essere stato corrispondente dell’Unità da Trieste si trasferì a Milano e poi a Novara, dove fu tra i fondatori dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età contemporanea nel Novarese-Verbano-Cusio-Ossola), che in un testo intitolato “Malcontento operaio a Trieste” raccolse il sentimento dei militanti comunisti durante i “quaranta giorni” di amministrazione jugoslava:
“Fu così che agli operai insorti non fu permesso di procedere a quelle liquidazioni di fascisti responsabili di persecuzioni e violenze, a quegli atti di “giustizia sommaria” che invece si ebbero a migliaia a Milano, Torino, in Emilia e in tutta l’Alta Italia nelle giornate della liberazione e poi ancora per più giorni. “Non ce lo permettono” mi dissero ancora alcuni operai “pretendono che arrestiamo e denunciamo regolarmente codesti fascisti, ma spesso, dopo che li abbiamo arrestati e denunciati, essi li liberano, non procedono. E allora?” ne erano indignati…”
(documento conservato presso l’Istituto di Storia del Movimento di Liberazione di Trieste, n. 2227).
SCARICA L’ARTICOLO: http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2015/01/Sulle-vittime-del-maggio-19453.pdf
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http://xcolpevolex.blogspot.it/2015/02/la-scandalosa-puntata-di-porta-porta.html
05/02/15
La scandalosa puntata di Porta a Porta sul giorno del ricordo e foibe
di Marco Barone
Va bene, ne prendo atto. Prendo atto che il sistema mediatico e pubblico, e ribadisco pubblico, che dovrebbe fornire informazioni oggettive, e non faziose, è semplicemente defunto e quando si affronta poi la questione dei 42 giorni di Trieste si va oltre ogni decenza. Cosa si è detto nella puntata di Porta a Porta, del 4 febbraio, che si può ben vedere su internet sul giorno del ricordo, foibe ed esodo? E’ emerso, tra interventi, presentazione dell’argomento e frasi ad effetto che Tito ed i partigiani Jugoslavi volevano risolvere con eccidi di massa i problemi etnici e fare piazza pulita da tutto ciò che era italiano, che nelle foibe venivano buttati anche vivi ed agonizzanti, che a Pola i partigiani giravano con l’imbuto e invitavano gli italiani ad andare via altrimenti li avrebbero ammazzati e sarebbero finiti nelle foibe, o la nota e sballata e falsa cifra dei presunti 350 mila esuli assunta oramai a dogma. Ma il top del top lo si raggiunge, non tanto quando si parla del noto magazzino 18 contenitore di oggetti abbandonati e dimenticati, non tanto quando si tenta di paragonare il massacro accaduto in Jugoslavia durante la guerra interna che porterà alla fine della Jugoslavia con quello che avrebbero fatto i partigiani jugoslavi, e dunque equiparazione delle fossi comuni con le foibe, ma quando, durante i primi minuti nel servizio di presentazione, che ricorda l’epico stile del noto Istituto Luce, si dirà che dopo il 12 giugno i partigiani jugoslavi lasceranno Trieste e finirà l’incubo delle esecuzioni sommarie delle deportazioni ecc. Ciò verrà detto al minuto 3.56 ma con un piccolo particolare, nel momento in cui si pronuncerà la fine dell’incubo delle esecuzioni sommarie, dunque imputabili ai “terribili giorni di Tito a Trieste”, verrà mostrata una foto di persone impiccate, e dunque chi guarderà quell’immagine penserà che quelle persone saranno stato impiccate dai cattivi disumani partigiani jugoslavi. Peccato che si tratta degli impiccati di Premariacco e di San Giovanni al Natisone, 26 impiccati giovanissimi uccisi dai nazisti come rappresaglia. Dunque forse sarà sfuggita, forse no, e chi può dirlo?
Certo che addebitare ai partigiani jugoslavi crimini compiuti dai nazisti, perché è quello che rimarrà impresso tra l’associazione dell’immagine citata e la fine dei 42 giorni di Trieste, è proprio una cosa a dir poco indicibile ma che ben dimostra la consistenza ed il gran livello culturale e storico sussistente, in parte, nell’Italia vittima senza mai colpe. Ovviamente si è omesso tutto quello che è accaduto prima, e chi non conosce la storia cosa penserà dopo aver visto quel programma? Che di punto in bianco arrivano i cattivi barbari, banditi, criminali, comunisti slavi, occupano Trieste, spazzano via tutto quello che è italiano, uccidono poveretti che non avevano colpe, li gettano vivi nelle foibe, che ricordano cavità infernali, impiccano in modo selvaggio però poi per fortuna gli americani convinceranno i cattivi e disumani jugoslavi ad andare via e finalmente Trieste potrà respirare e festeggiare la sua libertà. Stesso discorso per l’esodo biblico dei 350 mila esuli, questa è la cifra dogma che si continua a presentare, e il telespettatore medio che non conosce i fatti penserà che questi poveretti italiani sono stati cacciati via da terre che da sempre parlavano italiano, dunque da sempre italiane, perché la loro colpa era quella di essere gente italiana e conseguentemente fascista. E dunque se quelle terre erano da sempre italianissime perché non devono ritornare ad esserlo? Insomma l’esodo istriano continua ad essere presentato come quello biblico, simile a quello del popolo ebraico ma in fuga per la salvezza perché i comunisti jugoslavi tentarono, a detta di questi grandi storici e politici, la pulizia etnica. E tutto ciò dovrebbe essere il cuore pulsante della memoria condivisa.
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http://xcolpevolex.blogspot.it/2015/01/dopo-il-caso-di-trieste-ora-tocca.html
22/01/15
Dopo il caso di Trieste ora tocca a Monfalcone, una targa per la falsa liberazione
di Marco Barone
Che il 25 aprile sia letteralmente sotto attacco è un dato di fatto ben noto, che vi siano intenti e provocazioni finalizzate a dividere è altrettanto noto, che si voglia strumentalizzare la storia per sostenere operazioni di revisionismo storico è più che evidente, che qualcuno voglia forse la restaurazione, visti i tempi che viviamo, non deve sorprendere, sorprendere deve invece l’indifferenza a tutto ciò.
Nel goriziano, ultimamente, si realizza un mero accanimento in tal senso. Penso all’ennesima ricorrenza che ha visto nostalgici della X mas, che hanno combattuto con forze naziste, ricevere tutti gli onori, siano essi civili che non, si celebrano podestà che hanno operato sotto il fascismo, si vogliono dedicare piazze o vie a personaggi che hanno avuto un ruolo di primo piano nelle violenze fasciste. A tutto ciò seguendo il revisionismo storico che alcuni hanno proposto a Trieste e comunque immediatamente rispedito al mittente, a Monfalcone d’incanto e con la tipica retorica nazionalistica si propone di realizzare una targa per ricordare la fine dell’occupazione “titina”ergo la vera liberazione di Monfalcone. Alcune brevi e sintetiche premesse storiche.
Monfalcone, così come Trieste, felicemente faceva parte dell’Impero Austro Ungarico. Impero che in via scellerata volendo punire una intera comunità, quella serba, per il noto attentato di Sarajevo, determina la prima guerra mondiale. Il Regno d’Italia decide di frantumare l’alleanza, manda al macello più di 500 mila soldati, guidati da criminali, mai puniti anzi onorati, ed occupa terre appartenute all’Impero caduto. Nel mentre di tutto ciò, un giorno non qualunque, D’Annunzio con un gruppo organizzato di militari e volontari, parte da Ronchi per occupare una città straniera, Fiume. Primo atto di militarismo, di grave eversione, dopo la grande macelleria umana, primo atto che fungerà da legame tra l’irredentismo reazionario ed il fascismo che arriverà da lì a breve. Atto che vede a Monfalcone l’esistenza del noto monumento, sostenuto dal sindaco di quel tempo appartenente a Gladio e progettato da un noto architetto fondatore del sindacato fascista degli architetti. Dunque vi è stata una cosa, durata vent’anni, che si chiama fascismo, che qualcuno forse dimentica che vedrà molti legionari di primo livello svolgere un ruolo determinante ed esercitare la sua massima brutalità proprio nel confine orientale colpendo in particolar modo sloveni, serbi, croati, spazzando via identità secolari radicate da lungo tempo in queste terre. Processi che diventeranno ancora più brutali con il nazifascismo e l’occupazione della Jugoslavia. Ci sarà poi la resistenza, e non guerra civile, perché si è contrastato un regime, perché si è morti per la libertà e per una idea diversa di società, seguendo le orme della resistenza Jugoslava a Selz si formerà la brigata proletaria, uomini e donne che lotteranno per la nostra libertà ad un prezzo elevatissimo. Sino ad arrivare al 1° maggio del ’45 quando i partigiani Jugoslavi con una operazione congiunta con i partigiani italiani, libereranno Monfalcone, ed a Trieste i partigiani Jugoslavi saranno i primi ad entrare, ad esempio, nella Risiera di San Saba liberando de facto la città dall’occupazione nazista.
42 soli saranno i giorni di amministrazione provvisoria con l’affermazione del comitato esecutivo italo-sloveno, poi subentreranno le altre truppe alleate che a Trieste rimarranno sino al ’54 ed a Monfalcone sino al ’47. Intanto sotto la reggenza delle truppe anglo americane si realizzeranno più di 500 giornate di violenza, tollerate, sostenute e non contrastate, di matrice fascista contro antifascisti, comunisti, anarchici e sloveni. Dal tipico lancio di bombe, a morti, a feriti, ad intimidazioni, a liste di proscrizione. Ma tutto questo non deve essere ricordato. Quello che deve essere ricordato, invocando sempre le solite storie e facendo poi con tutto il fieno un solo demagogico covone, mescolando fatti ed eventi diversi con il tipico vittimismo, con il tipico ragionamento mistico e passionario religioso e senza mai avere colpa o responsabilità alcuna è che i liberatori, quale i partigiani Jugoslavi, devono divenire gli occupanti e tutti gli altri i liberatori nel nome di quella italianità abusata .
Eppure forse si dimentica che la Jugoslavia aveva vinto la seconda guerra mondiale ed aveva, in ogni caso, tutti i diritti e le ragioni per eccepire legittime pretese su Trieste, Gorizia, Ronchi e Monfalcone, ad esempio. Si voleva allora realizzare un grande Stato socialista, ma questo non doveva essere permesso, nonostante le grandi manifestazioni a sostegno della Jugoslavia.
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