November 28, 2024
Un pò di “giustizia” finalmente, da un tribunale non italiano !
Noi c’eravamo (per fortuna non alla Diaz…) in piazza, a manifestare tutto il nostro dissenso contro l’ordine capitalista mondiale che ha ridotto il pianeta in macerie.
Noi non dimentichiamo i/le nostri/e compagni/e: percossi/, arrestati/e, torturati/e, seviziati/e in un vero e proprio Lager di Stato !
è possibile vedere in streaming il film “DIAZ” di Daniele Vicari, 2012.
Questo l’articolo di oggi sul Corriere della Sera
http://www.corriere.it/cronache/15_aprile_07/strasburgo-diaz-italia-condanna-tortura-29b2af9e-dd03-11e4-9a2e-ffdad3b6d8a1.shtml
Secondo i giudici, è stato violato l’articolo 3 della convenzione europea dei diritti umani sul “divieto di tortura e di trattamenti disumani o degradanti”
La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato l’Italia per tortura per il comportamento tenuto dalle forze dell’ordine durante l’irruzione alla scuola Diaz avvenuta nella notte tra il 21 e il 22 luglio 2001, alla fine del summit del G8 a Genova. I giudici hanno dichiarato all’unanimità che è stato violato l’articolo 3 della convenzione europea dei diritti umani sul “divieto di tortura e di trattamenti disumani o degradanti”.
Il ricorso è stato presentato da Arnaldo Cestaro, che all’epoca dei fatti aveva 62 anni e si trovava nella scuola Diaz quando un’unità della polizia ha fatto irruzione nell’edificio per una perquisizione. Cestaro ha denunciato di essere stato picchiato dagli agenti, che gli hanno causato diverse fratture, nonostante fosse contro un muro con le braccia alzate. L’Italia dovrà versare a Cestaro un risarcimento di 45mila euro per danni morali.
La Corte ha concluso che l’articolo 3 della convenzione è stato violato anche a causa di una legislazione penale inadeguata, che non prevede il reato di tortura. Nella sentenza si sottolinea che è necessario che “l’ordinamento giuridico italiano si munisca degli strumenti giuridici adatti a sanzionare in modo adeguato i responsabili di atti di tortura o di altri maltrattamenti”.
07/04/2015
La «macelleria messicana» compiuta dalla Polizia nella scuola Diaz la notte del 21 luglio 2001 «deve essere qualificata come tortura»: l’Italia va dunque condannata doppiamente, per il massacro dei manifestanti e per non avere ancora una legge adeguata a punire quel reato. La Corte europea dei diritti dell’uomo, a 15 anni di distanza, mette per la prima volta nero su bianco in un atto giudiziario quel che decine di testimoni hanno visto e raccontato.
IL RICORSO
La sentenza della Corte di Strasburgo è il risultato del ricorso di Arnaldo Cestaro, oggi 76enne: quella notte era alla Diaz e fu uno degli 87 no global massacrati e feriti – su 93 che furono arrestati – durante quella che la Polizia definì una «perquisizione ad iniziativa autonoma» finalizzata alla ricerca di armi e black bloc dopo le devastazioni avvenute in mezza Genova durante le proteste contro il G8. «Questa sentenza è una cosa molto importante – ha commentato l’uomo – quel che ho visto e subito è una cosa indegna in un sistema democratico». «Finalmente – ha aggiunto il papà di Carlo Giuliani – sono state determinate le brutture commesse dallo Stato italiano. È una cosa bella e chissà se l’attuale governo troverà il tempo di occuparsi di queste cose che riguardano la dignità del paese». Resta, aggiunge Giuliano Giuliani, «la rabbia perché l’omicidio di Carlo è ancora impunito».
SCHEDA – Dal blitz alla sentenza: le tappe della vicenda
PDF – Il testo della sentenza in francese
LA STORIA – “Graziato” il medico-torturatore (Guido Filippi)
VIDEO – Il trailer del film sul G8 di Daniele Vicari
“LEGGI ITALIANE INADEGUATE”
I colpevoli di quella violenza – che la Cassazione ha definito «sadica e cinica» – sostiene la Corte di Strasburgo avrebbero dovuto essere puniti adeguatamente ma ciò non fu possibile «a causa dell’inadeguatezza delle leggi italiane». Chi «ha torturato» l’uomo, «non è mai stato identificato, anche perché entrando alla Diaz aveva il viso coperto, e non indossava un numero di identificazione, come invece richiede la Corte». Ed inoltre anche chi è stato processato e condannato «non ha scontato alcuna pena» poiché i reati sono caduti in prescrizione”. E questa è una colpa da imputare «alla mancanza in Italia del reato di tortura o di reati altrettanto gravi».
I POLIZIOTTI VIOLENTI
«Quando parlammo di tortura ci presero per pazzi» dice oggi il pm che ha sostenuto l’accusa, Enrico Zucca, sottolineando che la decisione della Corte era «scontata» in quanto «ciò che è accaduto in quella scuola è un concentrato di violazioni dei diritti dell’uomo». Violazioni che la Cassazione – con la sentenza con cui ha confermato le condanne ai vertici della Ps che erano a Genova, Gratteri, Luperi e Caldarozzi, per i falsi verbali – aveva già pienamente indicato, pur non potendo parlare di tortura: ci fu un «uso spropositato della violenza» da parte della Polizia, che ha «gettato discredito sulla nazione agli occhi del mondo intero». I poliziotti, hanno scritto i giudici, «si scagliarono sui presenti, sia che dormissero, sia che stessero immobili con le mani alzate, colpendo tutti con i manganelli e con calci e pugni, sordi alle invocazioni di “non violenza” provenienti dalle vittime, alcune con i documenti in mano, pure insultate al grido di `bastardi´».
VIDEO – Il racconto delle vittime dei pestaggi
LA PROPOSTA DI LEGGE SULLA TORTURA
Ora tocca all’Italia far vedere che le cose sono cambiate, approvando immediatamente la proposta di legge che introduce il reato, con pene che vanno dai 4 ai 10 anni, approdata alla Camera lo scorso 23 marzo. Un vuoto, sostiene il presidente della Camera Laura Boldrini, «intollerabile». Giovedì il Parlamento inizierà la votazione e «il via libera definitivo – spiega il presidente della Commissione Giustizia Donatella Ferranti – potrebbe arrivare entro l’estate». Sel e Prc tornano intanto a criticare il tempo perso e a chiedere i numeri identificativi sulle divise degli uomini delle forze di polizia. «Questa è una macchia indelebile sul volto del nostro paese e delle classi dirigenti che consentirono un uso arbitrario delle forze dell’ordine» afferma Nichi Vendola. Gli risponde Gianfranco Fini, che all’epoca era vice premier ed era a Genova. «Che ci siano stati eccessi è stato accertato e quindi è giusto che i colpevoli vadano puniti. Ma su di me ci furono speculazioni». Dal canto suo il M5S annuncia battaglia per modificare l’attuale testo: «è una vergogna che oggi non vi sia il reato di tortura – dicono i membri della commissione giustizia – ma sarebbe ancora più vergognoso concludere con una legge inefficace». E il leader radicale Marco Pannella annuncia invece uno sciopero della sete contro «questa infamia»: c’è una situazione in Italia, per quanto riguarda «i diritti e il funzionamento della giustizia, di fronte alla quale i fascisti si metterebbero a sghignazzare».
L’IMPUNITA’ DEGLI AUTORI MATERIALI
In attesa che il Parlamento colmi il vuoto, resta una certezza: l’incursione alla Diaz, hanno detto i processi, avrebbe dovuto «riscattare l’immagine della Polizia» dopo le devastazioni, ma la verità è che l’ha compromessa. Anche perché, ancora oggi, nessuno degli autori materiali di quel massacro sta scontando una pena: per i 10 funzionari condannati in appello per lesioni – il comandante del Reparto Mobile di Roma Vincenzo Canterini, il suo vice e i capisquadra – la Cassazione non ha potuto far altro che dichiarare prescritto il reato. E tutti gli altri, decine e decine di poliziotti, che entrarono nella scuola, non sono mai stati identificati.
Roberto Settembre (al centro) durante un dibattito con Mauro Barberis e Marcello Zinola
l’autore è l’estensore della sentenza d’appello sulle torture di Bolzaneto. Nato a Savona nel 1950, dopo alcuni anni di attività forense, è entrato in magistratura nel 1979 e ha lavorato quasi sempre nel settore penale. Sulla drammatica vicenda del G8 ha scritto un libro, “Gridavano e piangevano – La tortura in Italia: ciò che ci insegna Bolzaneto”, pubblicato da Einaudi nel 2014. È uscito dall’ordine giudiziario nel 2012. Questo commento è pubblicato oggi sulla prima pagina del Secolo XIX.
LA SENTENZA della Corte di Strasburgo sulla violazione dell’art 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo sul divieto di trattamenti disumani e degradanti, che ha condannato il nostro Paese per un fatto commesso all’interno della scuola Diaz nella notte tra il 21 e il 22 luglio del 2001, in occasione del G8 genovese (la famigerata “macelleria messicana”), dimostra una volta di più la nostra arretratezza sul piano normativo, 65 anni dopo la Convenzione europea e 31 anni dopo la Convenzione di New York del 1984 ( entrambe ratificate dall’Italia).
E ciò mentre tutti Paesi europei ( come al Spagna, la Francia, il Regno Unito, la Germania) hanno nella loro legislazione penale il reato di tortura. Eppure è una sentenza importante, perché ha sancito un principio che sfugge alla vulgata: che è tortura anche una singola condotta svincolata dall’intenzione di ottenere qualcosa dal torturato, e sopratutto gratuita e indipendente dal comporamento di questi. Ed è importante perché la Corte ha affermato che la carenza di giustizia in Italia sul punto non dipende da una negligenza della nostra giustizia, ma dalla mancanza di idonea normativa.
Ma da questa sentenza della CEDU discende ulteriormente l’urgenza, amaramente ironica, tale urgenza, di introdurre questo reato nel nostro ordinamento, affinchè sancisca un principio cardine degli ordinamenti dei Paesi civili: che lo Stato garantisce, anche sul piano penalistico, il patto di fiducia che deve legare i cittadini allo Stato.
Ecco perché questa legge dovrebbe essere desiderata anche dalle forze di polizia, a tutela del loro dovere di difendere i cittadini e la Costituzione da coloro che vogliono deturparla commettendo questo orribile delitto. E che sia un delitto imprescrittibile, affinché nessun gioco processuale lo annichilisca o la mancanza di collaborazione nell’identificazione dei responsabili, ( doverosa anche secondo le convenzioni internazionali ) allunghi i tempi dei processi fino alla prescrizione, come accadde per la maggior parte dei delitti contestati agli imputati per i fatti del G8 2001.
E invece, ancora oggi il rappresentante di un sindacato di Polizia, durante la tavola rotonda con Fahreneit a radio 3, ha detto che il reato di tortura non è opportuno perché già esistono leggi che puniscono comportamenti illeciti che ad esso rimandano, talché basterebbe formulare qualche norma di raccordo per garantire l’esigenza della punibilità.
M’è venuta in mente la risposta che nel 2006 il Governo italiano diede al Comitato di Strasburgo che lo interpellò nel 2004 sulla necessità di introdurre questo reato, con la frase: il reato di tortura “ is far from our mentality”!! Cioè lontano dalla nostra mentalità.
In verità mi auguro che il Parlamento non approvi l’unico disegno di legge sulla tortura finora votato dai senatori come “reato comune” ( che chiunque può commettere) con una pena minima di 3 anni, compatibile attraverso il bilanciamento delle attenuanti con i benefici di legge. E che solo per via di un’aggravante ( l’essere l’autore un pubblico ufficiale) punisce il colpevole con una pena più grave, ma che, col bilanciamento delle attenuanti, tornerebbe alla pena prevista per il reato comune. Arma spuntata in partenza, dunque.
E sarebbe una legge equivoca, poiché parla di condotte al plurale: una singola sigaretta spenta in un occhio della vittima non sarebbe tortura, dunque?? Ma che sia almeno un “reato proprio”, solo del Pubblico Ufficiale, così come previsto dalle Convenzioni internazionali, il delitto più infame che il potere statuale può commettere sul corpo e sulle anime dei deboli in sua mercé.
La brusca decisione della Corte europea di giustizia giunge alla vigilia di un passaggio istituzionale importante: neanche a farlo apposta, domani l’Aula della Camera affronta il reato di tortura.
«La sentenza pronunciata dalla Corte europea dei diritti umani – non manca di notare la presidente della Camera, Laura Boldrini – carica di un particolare significato il voto che la Camera si appresta a dare. Il Parlamento si avvia finalmente a colmare un vuoto che anche i giudici europei, oltre che tanti cittadini italiani, hanno ritenuto intollerabile». Il ritardo è clamoroso. «La nuova legge non potrà certo cancellare quella pagina buia. Servirà però ad allineare l’Italia all’Europa dei diritti umani, non meno rilevante di quella dei parametri economici».
Nei 14 anni trascorsi dai terribili giorni genovesi, la politica ha prodotto tanto dibattito e poco altro. Una storia di occasioni mancate e di leggi naufragate. Nel biennio del governo Prodi, le sinistre erano a un passo dall’ottenere una commissione parlamentare d’inchiesta: il 30 ottobre 2007 si votò in prima commissione, ma la proposta venne respinta a causa del voto contrario dell’Udeur dell’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella e dell’Italia dei Valori del ministro Antonio Di Pietro che non volle avvallare «la volontà politica di indagare solo sulla polizia».
Stessa storia di insuccessi per il reato di tortura fino al marzo del 2014 quando il Senato ha votato uno specifico ddl. È stato poi necessario un altro anno di lavori per la commissione Giustizia della Camera, ma finalmente si è a un passo dal voto (quasi) finale: i deputati tra giovedì e venerdì dovrebbero votare la legge; cambiando il testo del Senato sarà però necessario un ennesimo passaggio. «Abbiamo introdotto lievi modifiche, ma abbiamo mantenuto l’impianto. Ora mi auguro che l’Aula della Camera approvi all’unanimità il provvedimento così che il Senato lo possa trasformare in legge definitiva entro l’estate», dice la presidente della commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti, Pd.
Il nodo del contendere, che ha ridotto l’Italia a incassare una sanzione umiliante dalla Corte europea, è sull’essenza stessa della tortura: reato da addebitare solo a chi veste una divisa (versione preferita a sinistra, e così delineata dalla Convenzione contro la tortura delle Nazioni Unite, anno 1984) oppure reato che può essere contestato a chiunque abbia una posizione sovraordinata sulla vittima (versione preferita a destra, sagomata sulla definizione di tortura secondo lo Statuto della Corte penale internazionale, anno 1998)? Su questo discrimine, le forze politiche hanno discusso per anni, finché il Senato – partendo da un testo a prima firma Luigi Manconi – non ha trovato una soluzione salomonica: reato addebitabile a chiunque con pena da 3 a 10 anni, ma con severe aggravanti se il torturatore veste una divisa e approfitta della sua posizione di pubblico ufficiale, con pena da 5 a 12 anni. Se dal fatto derivano lesioni personali – come è il caso del signor Arnaldo Cestaro, che si era rivolto alla Corte europea – la pena sarà poi aggravata di un terzo. E se dal fatto derivasse la morte, anche se conseguenza non voluta, la pena sale a 30 anni.
Questo compromesso, come si augura Donatella Ferranti, potrebbe incassare un larghissimo consenso, forse persino l’unanimità. Anche il M5S è tentato. Riconoscono che sarebbe giusto «dare un segno di unità delle forze politiche».
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