November 27, 2024
Tutti presi dalle immagini che trasmettono i telegiornali degli scontri del Primo Maggio a Milano, ci siamo forse dimenticati di collocare quanto successo nella città meneghina in una dimensione globale?
Il Primo Maggio 2015 ci sono state manifestazioni e cortei in paesi in cui da tempo non se ne aveva notizia: pensiamo all’Iran, all’Iraq, alla Malesia, a Myanmar, all’Indonesia e a Taiwan. In altri, vedi Turchia e Corea del Sud, si sono svolte mobilitazioni di massa dove migliaia di lavoratori hanno sfidato polizie armate fino ai denti e pronte a reprimere senza pietà. Negli Stati Uniti durante la May Day i movimenti contro la violenza poliziesca si sono del tutto spontaneamente uniti a quelli dei lavoratori in lotta per l’aumento del salario.
Quindi il proletariato c’è, è in salute e scende in piazza per rivendicare migliori condizioni di vita. Il contesto in cui si inserisce questo movimento è quello della crisi epocale del capitalismo, con polarizzazioni sociali mai viste prima: gli economisti ci informano che il 10 per cento più ricco della popolazione mondiale possiede il 30-40 per cento del reddito totale, mentre il 10 per cento più povero deve accontentarsi del 2 per cento.
Di fronte a queste cifre viene in mente lo slogan lanciato da Occupy Wall Street: We are the 99%.
Ritornando ai fatti di Milano, ci rifiutiamo di entrare nel merito dell’inutile dibattito sull’opportunità o meno di spaccare le vetrine o bruciare le auto. Quello che è successo (poca roba rispetto ad altri paesi) doveva succedere, ed è quantomeno strano pensare che, in un mondo in subbuglio, in Italia possano esserci solo manifestazioni ordinate e lige all’ordine costituito.
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http://www.inventati.org/cortocircuito/2015/05/08/il-modello-expo-e-ovunque/
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