Un torto subito da un lavoratore è un torto fatto a tutti (IWW)

Ecuador: la situazione del movimento

Postato il 29 Giugno 2015 | in Mondo, Scenari Politico-Sociali | da

Bandiere a lutto contro Correa
Ecuador. L’opposizione non vuole la tassa sull’eredità

ecuador-protestaBan­diere nere in segno di lutto. Così, in Ecua­dor, l’opposizione al governo di Rafael Cor­rea ha deciso di pro­te­stare con­tro la Legge orga­nica per la ridi­stri­bu­zione della ric­chezza, altri­menti detta Ley de Heren­cia. Una legge che pre­vede di aumen­tare le tasse di suc­ces­sione dal 2,5% al 77,5% e che per ora è ancora un pro­getto. Venerdì scorso, il pre­si­dente ha dato il via libera al testo e da allora il par­la­mento ha 30 giorni per approvarlo.

E da venerdì l’opposizione è subito scesa in piazza vestita a lutto, orga­niz­zando mani­fe­sta­zioni vio­lente nella capi­tale Quito e in altre parti del paese. Le imma­gini dell’ex mini­stro della cul­tura del governo Cor­rea, con il volto insan­gui­nato, hanno infiam­mato il dibat­tito nelle reti sociali, den­tro e fuori il paese. In prima fila, le classi medio alte inten­zio­nate a non vedersi sfug­gire nean­che un bri­ciolo della torta. Epperò caval­cano le pro­te­ste anche le frange più radi­cali che, dall’estrema sini­stra, con­si­de­rano Cor­rea «un fasci­sta masche­rato» e il suo un governo «di buro­crati e cor­rotti», e pro­muo­vono lo slo­gan «zero tasse». Tutti sono scesi in piazza al grido di «Fuera Cor­rea, fuera».

I grandi media di oppo­si­zione hanno subito acco­stato le pro­te­ste a quelle che, nel 2005, hanno por­tato alla caduta dell’allora pre­si­dente Lucio Gutier­rez. Nei dieci anni che hanno pre­ce­duto la vit­to­ria di Cor­rea, la piazza — e soprat­tutto le orga­niz­za­zioni indi­gene — ave­vano man­dato a casa una decina di pre­si­denti. E Cor­rea è al governo da quasi otto anni, sem­pre con un altis­simo gra­di­mento. Nel 2017 dovrebbe pas­sare la mano, a meno che un refe­ren­dum costi­tu­zio­nale non gli con­senta un terzo man­dato. Finora, nono­stante il forte malu­more da parte delle aree che gli rim­pro­ve­rano di aver tra­dito gli ideali di par­tenza, i son­daggi gli sono sem­pre favorevoli.

L’economia è finora cre­sciuta del 4% ogni anno, la povertà estrema è scesa dal 45% al 25% e la disoc­cu­pa­zione è intorno al 5%. Dopo la caduta del prezzo del petro­lio e una cre­scita intorno all’1% pre­vi­sta per il pros­simo anno, Cor­rea ha annun­ciato però un con­te­ni­mento rela­tivo della spesa sociale. Per far fronte a un defi­cit che — secondo la Stan­dard & Poor’s — sarà supe­riore a quello del 2014, il governo ecua­do­riano ha chie­sto alla Cina — prin­ci­pale finan­zia­tore — un pre­stito di 1.500 milioni di dollari.

Per il governo, ora è in atto un piano per desta­bi­liz­za­rela «revo­lu­cion ciu­da­dana» da parte di frange che, in assenza di un pro­gramma per le ele­zioni del 2017, cer­cano di stru­men­ta­liz­zare la pro­te­sta cam­biando il senso del testo di legge. Cor­rea ha intro­dotto il tema anche al ver­tice Ue-Celac, che ha coor­di­nato a Bru­xel­les in quanto l’Ecuador ha attual­mente la pre­si­denza di turno della Comu­nità degli stati lati­noa­me­ri­cani e carai­bici. In quella sede, ha spie­gato che, nono­stante la «revo­lu­cion ciu­da­dana» da lui diretta, che si è messa in mar­cia nel 2007, il 2% delle fami­glie pos­siede ancora oltre il 90% della ric­chezza nazio­nale. Que­sta legge — ha aggiunto — ha carat­tere redi­stri­bu­tivo, serve a evi­tare le truffe delle mul­ti­na­zio­nali attra­verso gli inter­me­diari, e a por­tare un po’ più di benes­sere ai lavo­ra­tori: ai quali ver­reb­bero devo­lute le tasse pagate dalle grandi imprese che rea­liz­zino, per esem­pio, un affare supe­riore al milione di dol­lari. Cor­rea ha anche pre­ci­sato che la stra­grande mag­gio­ranza della popo­la­zione non sarà tar­tas­sata, che ha a cuore il futuro delle «classi medie» e che men che meno saranno toc­cati i pic­coli patri­moni fami­liari o «l’economia popo­lare e soli­dale».
Il pre­si­dente ecua­do­riano si è rivolto ai cit­ta­dini attra­verso la tra­smis­sione set­ti­ma­nale Enlace ciu­da­dano, mutuata da quella ideata da Hugo Cha­vez in Vene­zuela (Alò pre­si­dente). Que­sta volta, però, era in col­le­ga­mento dall’Expo di Milano, dove ha inau­gu­rato il padi­glione Ecua­dor, applau­dito dai suoi con­na­zio­nali e dalle ban­diere del suo par­tito, Alianza Pais. Le rimesse dei migranti — ha detto in quella sede — hanno per­messo a un paese pie­gato dalla «crisi eco­no­mica e finan­zia­ria del 1999, frutto della dere­gu­la­tion dei mer­cati» di soprav­vi­vere. Allora, in molti hanno dovuto fug­gire dal paese «espulsi da modelli eco­no­mici nefa­sti» per vivere come «esuli della povertà». Ma ora che il paese ha deciso di «pagare il debito sociale nei loro con­fronti», in molti sono tor­nati a ripren­dere a pieno titolo il pro­prio posto nella società.

Ieri, nella capi­tale e in diverse città del paese sono scesi in piazza anche i soste­ni­tori del governo, die­tro le ban­diere verdi di Alianza Pais: con­tro le vio­lenze orga­niz­zate «dall’oligarchia, da poli­tici di estrema destra e dalle elite dei grandi media». Il verde «della spe­ranza» con­tro «il nero della vio­lenza». Una «mani­fe­sta­zione per l’allegria» davanti al palazzo del governo, al grido di: «Uh, ah, Cor­rea no se va».

Dal Vene­zuela, il pre­si­dente Nico­las Maduro ha espresso soli­da­rietà al suo omo­logo ecua­do­riano. I movi­menti dell’Alba, l’Alleanza boli­va­riana per i popoli della nostra Ame­rica, in un comu­ni­cato hanno denun­ciato la «guerra di debole inten­sità» inten­tata con­tro Cara­cas, Quito e La Paz, così come con­tro l’Argentina e il Bra­sile e sup­por­tata dai grandi media inter­na­zio­nali. Il segre­ta­rio gene­rale dell’Union de Nacio­nes Sura­me­ri­ca­nas (Una­sur), Erne­sto Sam­per, ha dichia­rato che l’organizzazione regio­nale si opporrà fer­ma­mente agli atti di vio­lenza in Ecuador.

Geraldina Colotti

(Il Manifesto 16 giugno 2015)

«Correa estrattivista, i movimenti lo contestano»
Ecuador. Parla l’economista Pablo Davalos che si oppone al presidente

ecuador-correa«I movi­menti in Ecua­dor hanno fatto cadere tre pre­si­denti, Cor­rea potrebbe essere il quarto». Non usa mezzi ter­mini, Pablos Dava­los, ex vice­mi­ni­stro dell’economia in Ecua­dor. Se fosse ora nel suo paese, sta­rebbe in piazza, con i mani­fe­stanti che, dal 15 giu­gno, sfi­lano gri­dando «Fuori Cor­rea». Invece ha un inca­rico di ricerca uni­ver­si­ta­ria a Gre­no­ble e si pro­pone di rag­giun­gere le pro­te­ste appena ter­mi­nata la mis­sione. Lo abbiamo incon­trato a Firenze, ospite di un dibat­tito sull’America latina orga­niz­zato dall’Arci. In ita­liano, i suoi libri sono pub­bli­cati da una pic­cola casa edi­trice dalle riso­nanze zapa­ti­ste “Cami­nar doman­dando”, e com­pa­iono a fianco dei testi di Esteva e di Zibe­chi. Un filone di pen­siero che ante­pone «la resi­stenza dal basso al potere» e che, nelle affer­ma­zioni di Dava­los, con­si­dera obiet­tivo prio­ri­ta­rio e irri­nun­cia­bile «la lotta con­tro l’estrattivismo».

Gli abbiamo chie­sto di moti­vare la sua per­vi­cace oppo­si­zione al governo di Rafael Cor­rea, sotto attacco dopo la pro­po­sta di legge per aumen­tare le tasse sull’eredità e sul plu­sva­lore. Pro­getti che, per il governo, riguar­de­reb­bero solo quel 2% della popo­la­zione che pos­siede «oltre il 90% delle risorse» e non col­pi­reb­bero né le classi medie, né la pic­cola pro­prietà fami­gliare. A gui­dare le pro­te­ste sono soprat­tutto i sin­daci di oppo­si­zione, nella capi­tale Quito e a Gua­ya­quil, e i car­telli che chie­dono la cac­ciata di Cor­rea non lasciano dubbi sugli inte­ressi che le muo­vono. Dicono, «Impo­ve­rire i ric­chi non fa ric­chi i poveri», «Libertà di impresa» e «Non vogliamo essere come il Vene­zuela». E i mili­tanti di Alianza Pais hanno denun­ciato la pre­senza delle destre vene­zue­lane nelle mani­fe­sta­zioni, venute ad arrin­gare la cit­ta­di­nanza con improv­visi comizi nella metropolitana.

In piazza, però, sfi­lano anche alcune orga­niz­za­zioni indi­gene e sin­da­cali, e la ten­sione sale in vista dell’imminente visita del papa Ber­go­glio. Nono­stante abbia un’ampia mag­gio­ranza par­la­men­tare, Cor­rea ha riti­rato momen­ta­nea­mente il pro­getto chia­mando il paese a discu­tere. Una deci­sione appro­vata, secondo recenti inchie­ste, dal 70% della popo­la­zione, che comun­que rifiuta le pro­te­ste al 60,2%. Ma, per Davlos, Cor­rea cerca solo di man­tere il potere, e il suo discorso va «decostruito».

Dava­los tiene ai suoi tra­scorsi di atti­vi­sta nei movi­menti indi­geni. Ricorda che, nel 2005, come vice­mi­ni­stro ha dovuto «affron­tare uno sce­na­rio simile a quello della Gre­cia in cui il Fondo mone­ta­rio inter­na­zio­nale e la Banca mon­diale ave­vano impo­ve­rito la popo­la­zione, por­tato il paese in reces­sione e si dovette cac­ciarli e sospen­dere il paga­mento del debito per ripren­dere in mano la nostra sovra­nità». Riprende anche i con­te­nuti rac­chiusi nella costi­tu­zione ecua­do­riana, nata in seguito a un ampio pro­cesso di con­sul­ta­zione popo­lare, «dall’idea di stato plu­ri­na­zio­nale, ai diritti della natura».

Tut­ta­via, sostiene che il governo Cor­rea, «pur non essendo neo­li­be­ri­sta come i pre­ce­denti, sta con­se­gnando gran parte dei ter­ri­tori indi­geni all’estrattivismo, soprat­tutto cinese, reprime l’opposizione e imba­va­glia il dis­senso creando orga­niz­za­zioni sociali ami­che». Un pro­getto alter­na­tivo? «Aumen­tare i salari degli ope­rai, eli­mi­nare le leggi che limi­tano il diritto di scio­pero, appli­care una vera riforma agra­ria e una tri­bu­ta­ria che fac­ciano pagare le tasse ai ric­chi. Invece, col pre­te­sto che occorre aumen­tare la pro­dut­ti­vità, Cor­rea ha lasciato campo libero all’agrobusiness e ha fatto arric­chire i più ric­chi, un’oligarchia che si con­cen­tra in pic­coli gruppi impren­di­to­riali a strut­tura fami­gliare e con­trolla in modo mono­po­li­stico l’economia».

Ma come si può pen­sare che un pro­getto simile possa coin­ci­dere con gli inte­ressi della destra? Dava­los risponde che «la con­fluenza di due pro­te­ste andrebbe comun­que a van­tag­gio dei movi­menti popo­lari, i quali non con­sen­ti­reb­bero il ritorno a qual­cosa di peg­gio». In Ecua­dor «non val­gono gli stessi cri­teri uti­liz­zati in Europa. Le comu­nità indi­gene non vogliono uno svi­luppo per pos­se­dere più merci a sca­pito del buen vivir. E anche la nozione di classe media va inqua­drata diver­sa­mente. Quella di oggi è com­po­sta da gio­vani eco­lo­gi­sti che hanno stu­diato e che vanno in bici­cletta». Sono loro «e non gli ope­rai o le popo­la­zioni indi­gene ad aver appog­giato di più il pro­getto per pre­ser­vare il parco Yasuni dall’estrattivismo». Cor­rea «non è un socia­li­sta, ma solo uno che sta facendo il lavoro al posto del capi­ta­li­smo. Per­ché certi pro­getti pas­sano meglio con un governo che appare di sini­stra piut­to­sto che con uno di destra».

Geraldina Colotti

(Il Manifesto 27 giugno 2015)

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