November 26, 2024
La bocciatura del rinnovo contrattuale dei lavoratori FCA negli Stati Uniti, parla anche a noi, in Italia. Sembrava scontata l’approvazione, che si sarebbe verosimilmente esteso a tutto il settore auto Usa e invece arriva il secco No del 65% degli operai. Sarebbe interessante vedere il risultato di un analogo referendum negli stabilimenti italiani. La tendenza, invece, va nel verso opposto, con i lavoratori sempre più esautorati della possibilità di decidere.
di Carmine Tomeo
La bocciatura del rinnovo contrattuale dei lavoratori FCA negli Stati Uniti, parla anche a noi, in Italia. L’accordo siglato tra il sindacato Uaw e la FCA avrebbe dovuto soprattutto ridurre drasticamente il divario retributivo tra operai di primo livello e quelli di secondo livello in vigore dal 2007. La proposta di accordo prevedeva, pertanto, di portare la paga oraria per i secondi livelli da 19 a 25,35 dollari e di aumentare fino a 29,76 dollari la paga oraria degli operai di primo livello. Così, mentre sembrava scontata l’approvazione dei lavoratori al nuovo contratto (che si sarebbe verosimilmente esteso a tutto il settore auto Usa), arriva il secco No del 65% dei lavoratori FCA.
In realtà, dietro quella apparente concessione si celava la classica fregatura. I lavoratori, infatti, ritengono superata la situazione di emergenza che aveva caratterizzato il cosiddetto piano di salvataggio della Chrysler e che pareva giustificare il differente trattamento salariale. Inoltre quegli aumenti sarebbero entrati a regime nel corso di qualche anno, ma già oggi avrebbero difficilmente coperto gli aumenti del costo della vita di questi anni.
Qualcuno ha parlato di lotta di classe. Se sarà così, se questa sarà la tendenza nel settore auto americano, lo vedremo presto. Mentre scrivo, infatti, è stato scongiurato lo sciopero grazie ad un nuovo accordo tra Uaw e FCA di cui, in questo momento, non si conoscono i dettagli. Ma intanto in Usa è successo quello che nemmeno Marchionne si aspettava: i lavoratori, liberi di decidere sulle condizioni contrattuali, hanno detto la loro ed hanno respinto l’accordo preliminare siglato dei soggetti della contrattazione: il sindacato dei lavoratori dell’auto e FCA.
Sarebbe interessante vedere il risultato di un analogo referendum negli stabilimenti italiani. La tendenza, invece, va nel verso opposto, con i lavoratori sempre più esautorati della democrazia sindacale e della possibilità di decidere delle condizioni di lavoro a cui saranno sottoposti.
Alle nostre latitudini la discussione sui rinnovi contrattuali è stata chiusa da Confindustria ancor prima di aprirla. Giorgio Squinzi, ha infatti abbandonato il tavolo delle trattative dove avrebbe voluto imporre un nuovo sistema di regolazione salariale legato alla flessibilità e alla produttività. Un presupposto, quello del salario legato alla flessibilità ed alla produttività, che se previsto nelle nuove regole contrattuali, porterebbe inevitabilmente ad una riduzione dei salari, come sostiene anche la segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso. Ma non basta fermarsi a questo ed annunciare, come fa Camusso, la possibilità di un conflitto in caso non si pervenisse ad un accordo. Occorre tornare a restituire protagonismo ai lavoratori. Certo, la Camusso non mostra la palese sudditanza di Cisl e Uil che, con i loro segretari generali, hanno fatto sapere di voler subito riprendere il confronto con Confindustria, ovviamente non per difendere diritti e salario dei lavoratori, ma il proprio ruolo di soggetto della contrattazione: “per evitare – spiega la segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan – che altri soggetti si sostituiscano alle nostre funzioni”. Ma la segretaria generale della Cgil non riesce più a citare nemmeno l’autunno caldo e parla, in un’intervista a Repubblica di “autunno piovoso” (sic!).
Intanto, quegli “altri soggetti” di cui parla Furlan, cioè il governo, dopo l’attacco al diritto di sciopero, si muovono, lancia in resta, all’attacco al contratto nazionale. Questo, nelle intenzioni del governo, verrebbe di fatto superato dall’applicazione di un salario minimo, modificabile in sede di contrattazione aziendale (dove, naturalmente, questa è prevista). Si parla di un paga oraria minima addirittura inferiore alla tariffa netta dei voucher per lavori occasionali, che è pari a 7,5 euro. È chiaro che quello del governo Renzi è un intervento di un tempismo non causale e dettato per dare risposta alle pretese padronali.
Se la proposta del governo trovasse applicazione, sarebbe facilmente prevedibile una diminuzione generalizzata del salario. Il tessuto produttivo italiano, infatti, è composto in modo particolare da piccole e medie imprese, spesso non sindacalizzate. L’indagine Confindustria sul lavoro nel 2013, mostra che un contratto di secondo livello con contenuti economici è applicato in meno di un terzo delle imprese associate a Confindustria e copre il 60% dei lavoratori. Ma questi dati diminuiscono moltissimo se si considerano le sole piccole e medie imprese: nelle imprese con meno di 100 dipendenti, il contratto di secondo livello copre solo il 40% dei lavoratori; mentre nelle aziende fino a 15 addetti gode di contrattazione di secondo livello solo il 20% dei dipendenti. È fin troppo facile immaginare che per i lavoratori che restano scoperti dal contratto di secondo livello, il salario rimarrà miseramente sui livelli minimi. Ma anche laddove applicato, dove cioè ci sono stati premi aziendali, collettivi o individuali, questi hanno riguardato solo la metà degli operai e degli impiegati e molto più i quadri, e scarsa è stata l’incidenza sul salario (circa il 5% della retribuzione annua). Difficilmente si possono prevedere miglioramenti a rispetto a quanto avvenuto finora, visto il grado di ricattabilità a cui i lavoratori sono sottoposti, specie dopo le ultime riforme del lavoro. Quello che dovrebbe essere finalmente chiaro è che in Italia si sta assistendo all’affossamento definitivo del modello di relazioni sindacali finora portato avanti da Cgil, Cisl e Uil, per cui il sindacato assume il ruolo di interlocutore con padronato e governo, sperando in un loro ravvedimento, come se quelli non avessero un ruolo nei rapporti sociali di classe. Il padronato, consapevole dei rapporti di forza ad esso favorevoli, non ha alcun interesse a contrattare migliori condizioni salariali e di lavoro. Squinzi che sbatte la porta in faccia ai sindacati, senza nemmeno aprire davvero la discussione, è solo l’ultima dimostrazione di questa situazione. Le funzioni di soggetto contrattuale che Cgil, Cisl e Uil, in maniera più o meno esplicita tentano di difendere, non serviranno a restituire ai lavoratori quanto è stato sottratto loro negli ultimi decenni, né a difendere quel poco che rimane dei loro diritti.
Occorre invece restituire al conflitto sociale un nuovo protagonismo, ridare alla lotta di classe la sua centralità. In questo senso (e solo per fare pochi esempi), il rifiuto dei lavoratori Fca negli Usa al nuovo accordo, la rabbia dei lavoratori Air France, le lotte nella logistica in Italia dimostrano che esiste uno spazio aperto al conflitto sociale. Le lotte dei lavoratori, se ricomposte e organizzate intorno ad un progetto antagonista agli interessi del padronato (anche in un’ottica di solidarietà internazionalista e di classe), possono dare risposte alla lotta di classe che il padronato sta conducendo dall’alto contro i lavoratori.
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