November 25, 2024
A leggere un intervento di Giuliano Cazzola http://www.miowelfare.it/news/la-previdenziale-alloccupazione-lillusione-della-staffetta-generazionale non c’è da stare allegri perché al Governo non perdono tempo per distruggere tutele e diritti
Di fatto tra Poletti e Boeri c’è una sostanziale comunanza di vedute e i giovani precari di oggi con stipendi da fame avranno un assegno previdenziale misero che li destinerà alla povertà
Chiedere ai precari, come fa Poletti, di pagarsi una previdenza integrativa è pura follia perché gli stipendi oggi percepiti non consentono loro neppure di arrivare a fine mese, immaginiamoci allora come potrebbero decurtare dal risicato salario una quota a favore delle pensioni private
A chiedere un anticipo dell’età pensionabile ,magari con decurtazione , sono i settori padronali che vogliono procedere con una ristrutturazione delle imprese che si tradurrà nei contratti con le tutele crescenti, contratti nazionali sfavorevoli e magari una contrattazione di secondo livello che derogherà ai contratti nazionali aumentando orari, carichi di lavoro e altre diavolerie di cui l’immaginazione padronale è fervida
In numerosi interventi della Confindustria troviamo una sorta di leit motive quale “moderna e efficiente gestione del personale di imprese per espellere dal ciclo produttivo persone poco motivate, presumibilmente, poco produttive”.
Non sono solo generiche affermazioni , in parte presenti anche nella proposta dell’Inps (“Non per cassa, ma per equità”) ma dichiarazioni programmatiche finalizzate a un ricambio generazionale al ribasso, alla ristrutturazione \ridimensionamento del welfare, a una riforma previdenziale in base alla cosiddetta ” transizione flessibile” a dinamiche contrattuali al ribasso di cui già si intravedono i percorsi guardando ai rinnovi degli chimici e degli autoferrotranvieri.
Il prepensionamento, per quanto ne dica Cazzuola, sta bene a tutti perché se lo stato ci mette i soldi nell’arco di pochi anni le imprese avrebbero una manodopera giovane, ricattabile con i decreti del jobs act e potrebbero, con l’immancabile silenzio assenso di cgil cisl uil, completare l’opera di smantellamento del contratto nazionale
Fin qui tutto chiaro ma come non annotare anche le diversità tra le varie anime del capitalismo italiano?
Intanto il nodo competitività perché l’innovazione delle aziende si fa non cacciando via manodopera con maggiori tutele\salario ma soprattutto con investimenti nella ricerca, nei prodotti e innovazioni produttive proprio cio’ che il padronato italiano non fa da lustri.
Su questo il sociologo Gallino ha scritto libri illuminanti, basta andarseli a rileggere per capire come stanno le cose
Altro punto di disaccordo è il sistema previdenziale perché è noto che la previdenza integrativa (alimentata dagli stessi sindacati cgil cisl uil divenuti ormai piazzisti dei fondi previdenziali nei consigli di amministrazione siedono da anni) è destinata ad avere sempre piu’ spazio a discapito della previdenza pubblica
Il capitalismo italiano è lungimirante e sa bene che tra 20\30 anni potrebbe trovarsi una intera generazione che chiederà di stare in produzione fino a 70 anni per maturare un assegno decente
Da qui nasce la nuova idea, di rivedere la Legge Fornero e di riaprire nei prossimi anni la partita che ha portato alla Legge Dini nel 1995 perché da allora sono passati 20 anni e sono sorti nuovi problemi , primo tra tutti il nodo del precariato e il suo futuro lavorativo e previdenziale.
La nuova idea è una sorta di jobs act (un nome che da solo è già un programma di sventura) in materia previdenziale con una sorta di reddito minimo per quanti non avranno i requisiti minimi per un assegno previdenziale, l’applicazione del sistema contributivo-al ribasso- per tutta la vita lavorativa, l’intervento della fiscalità generale a sostegno di quanti avranno una pensione da fame, una aliquota generalizzata e uguale per tutti, siano essi autonomi, parasubordinati e dipendenti
I dettami della Bce e i tagli alla spesa sociale sono tali da non ipotizzare interventi statali a sostegno delle pensioni e allora l’idea del reddito minimo potrebbe essere il compromesso con il capitalismo liberista che quando si tratta di aprire il portafoglio si trasforma in statalista.
Di sicuro, a prescindere da quali saranno i settori vincenti nella perenne lotta intestina al capitale italiano, un minimo comun denominatore esiste ed è quello di ridurre il potere di acquisto e di contrattazione, di alimentare la quota di salario destinata alla previdenza integrativa, la trasformazione dei premi aziendali e della contrattazione di secondo livello in benefit, un reddito minimo che non intacchi i grandi patrimoni e le speculazioni finanziarie ma sia pagato da pensioni e salari ridotti all’osso
In questo si concretizzerà il jobs act in materia previdenziale e contrattuale
Cobas Pubblico Impiego
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