November 25, 2024
ENTI LOCALI: l’illusione delle progressioni orizzontali per dividere i lavoratori e applicare la Brunetta
Chi non vorrebbe tornare a 6\7 anni fa quando le progressioni orizzontali (PEO) rappresentavano una concreta possibilità per tutti\e di accrescere il proprio salario con ripercussioni positive anche per la futura pensione? La risposta è ovviamente scontata: tutti senza nessuna eccezione
Ma oggi?
La situazione è cambiata , infatti
· le peo erano possibili in virtu’ dei rinnovi contrattuali che consentivano al fondo, nella parte stabile, di ricevere risorse aggiuntive che non andavano a intaccare la produttività, anzi l’utilizzo delle risorse aggiuntive era finalizzato a consolidare il salario del personale ormai prossimo alla pensione (il calcolo previdenziale era retributivo…)
· le peo erano teoricamente legate alla performance ma era sufficiente non avere una valutazione negativa, quindi non c’erano troppi vincoli, anzi quei pochi esistenti erano facilmente superabili
· le peo venivano costruite all’interno della contrattazione decentrata in modo da farle avere a tutti\e, magari a rotazione, privilegiando soprattutto le fasce b e c per le quali i costi a carico del fondo erano\sono piu’ contenuti
· allora, oltre alle Peo , erano possibili anche le progressioni verticali che liberavano risorse per il fondo ed erano accessibili al personale interno con corsi concorsi con una prova finale abbordabilissima, Oggi per le progr. verticali non c’è possibilità alcuna, al massimo puoi avere una quota riservata al personale interno per qualche concorso ma di questi tempi si privilegia la mobilità e l’assorbimento del personale delle province
· Il personale di un Ente era certo di arrivare, dopo 20 anni , al tetto massimo della propria categoria, il problema restava per chi aveva ancora molti anni prima di andare in pensione e doveva restare fermo senza progressione alcuna (eccetto quelle verticali ovviamente oggi impossibili per effetto della Brunetta)
· Chi oggi parla di progressioni orizzontali lo fa per privilegiare pochi a discapito della stragrande maggioranza, anzi si riduce il fondo della produttività senza avere certezza alcuna di risorse aggiuntive al fondo.Le Peo possono servire da apripista alla applicazione della Brunetta che per ufficio escluderà il 25% del personale da ogni forma di produttività
Nei prossimi anni il fondo 2015 farà da riferimento (occorre leggere comunque il testo finale della Legge stabilità 2016), quindi dare le peo significherebbe ridurre la produttività generale e individuale
Se vogliamo le Peo bisogna eliminare la Brunetta e mettere in campo iniziative e forze a tale scopo. Brunetta e Patti di stabilità sono la causa di tutti i problemi per gli enti locali, quindi occorre mobilitarci per la loro soppressione se no si fanno solo chiacchere. Ricordiamo infine che le cifre stanziate per il prossimo rinnovo saranno addirittura inferiori alla miseria della indennità di vacanza contrattuale
Quindi non puo’ esistere alcuna separazione tra contrattazione di primo e di secondo livello, se non contrasti il deterioramento della prima poco potrai fare in ambito decentrato cullando la illusione che le rsu aziendali recuperino potere di acquisto e di contrattazione
Le considerazioni suesposte partono dal presupposto che corriamo un rischio, che a seguito della ” legge Brunetta” (art. 23 D.Lgs. 27/10/2009 n. 150), la fine dei blocchi imposti agli sviluppi economici tramite progressioni orizzontali ( art. 9 D.L.. 31/05/2010 n. 78 convertito Legge 30/07/2010 n. 122), dalla parte “padronale” ai fini del contenimento dei costi del pubblico impiego, non si trasformino di fatto nel raggiungimento degli obiettivi di quella cultura e pratica governativa sostenitrice di rivisitate “gabbie salariali”, sulla scia degli incostituzionali blocchi dei CCNL dei comparti pubblici.
In questo quadro è evidente che esistono interazioni di piattaforme e rivendicazioni sindacali che obbligano a “vedere” insieme gli istituti contrattuali delle Peo e della Produttività ( legata alla performance), perché le neo gabbie salariali, sono state prevalentemente fondate sull’ attacco ad ogni “generalizzazione” applicativa di questi istituti di cui gli art. 19 e 23 del D. Lgs. 150/2009 ne sono il paradigma culturale.
Basta infatti soffermarsi sui commi 2 e 3 del citato art. 23:
" 2. Le progressioni economiche sono attribuite in modo selettivo, ad una quota limitata di dipendenti, in relazione allo sviluppo delle competenze professionali ed ai risultati individuali e collettivi rilevati dal sistema di valutazione.
3. La collocazione nella fascia di merito alta ai sensi dell'articolo 19, comma 2, lettera a), per tre anni consecutivi,ovvero per cinque annualita' anche non consecutive, costituisce titolo prioritario ai fini dell'attribuzione delle progressioni economiche."
Sono perciò del tutto evidenti le interelazioni fra i due istituti contrattuali, ma anche le influenze in termini di risultati finali dei processi di attribuzioni delle nuove progressioni economiche, che possono essere già predeterminati, o lo si determineranno, a favore di quel 25% di “eletti” collocati nel 1° livello della performance per effetto della differenziazione delle valutazioni imposta per legge ( art. 19 comma 2 del D. Lgs. n. 150/2009).
Non è pertanto un caso che sfruttando “egemonie culturali”, gli enti locali e l’Aran alimentino comportamenti di iniquità distributiva del salario, mascherate dietro un riconoscimento “selettivo” delle risorse su base meritocratica, che mettono in competizione lavoratori\trici di diversa categoria e professionalità.
Tutto ciò consente ai “valutatori” di determinare o predeterminare il risultato ( anche se a volte sono loro stessi in conflitto d’interesse), anche a prescindere dalla valutazione oggettiva dei singoli, magari per sfavorire ruoli e compiti che in virtù di “nuovi” modelli organizzativi e di gestione, alcuni dei servizi vengano ritenuti ormai secondari rispetto alle scelte prioritarie e strategiche dell’ ente ( servizi predestinati a gestioni indirette esterne o dismissioni ). Spesso e volentieri, i servizi considerati secondari ( concetto che include anche le professionalità che vi operano) sono anche i più lontani dai luoghi decisionali della politica o della dirigenza, di sovente sono quelli destinati a processi di privatizzazione e in cui di solito si preferisce non investire risorse in riconoscimenti salariali.
Quanti oggi, dopo la fine nel 2015 dei blocco del trattamento economico individuale nel pubblico impiego, all’ interno del sindacato e delle Rsu sostengono le progressioni economiche come modello di riappropriazione di un’ equa ridistribuzione del salario, forse sono mossi dall’intento di non rimettere annualmente in discussione il salario dei singoli lavoratori/trici per effetto della valutazioni della controparte datoriale, che caratterizza il modello di erogazione della produttività. Come a dire, trasformare quote del fondo stabile in salario fisso metterebbe tutti\e al riparo della discrezionalità della performance per sempre.
Se questo è l’ obiettivo, non ci si può limitare a destinare risorse dal fondo annuale per fornire alcune e parziali opportunità in termini di PEO, che alimenterebbero alla fine competizione e individualità ( il peggio del peggio negli enti) soprattutto se si sono “precostruite” le fasce di merito del “decreto Brunetta”. In ogni caso, tutto ciò apparirebbe come concessione della politica o degli amministratori, o riconosciuto come merito della validazione “meritocratica” dei vertici dirigenziali, al di fuori di ogni forma di conquista conseguente a piattaforme rivendicative collettive che tengano “insieme”il personale su obiettivi e lotte comuni.
Le prime applicazioni delle progressioni orizzontali economiche, intervenute dopo la riforma dell’ ordinamento ( ad esempio nelle Regioni AA.LL. verificatisi con il CCNL del 1999), avevano avuto il merito di svilupparsi e concretizzarsi per mezzo di piattaforme rivendicative che avevano il pregio di porsi nell’ ottica di una equa ridistribuzione salariale, volta al consolidamento stabile di una parte della quota di salario accessorio, e partivano dal presupposto di dare a tutto il personale un ‘opportunità.
La controparte, con un operazione mediatica sostenuta da logiche e interessi confindustriali volti ad abbassare i salari, ha screditato tale operazione come metodo a “pioggia”, alimentando non solo la selettività delle Peo ( per dividere la forza lavoro assoggettandola a culture falsamente meritocratiche) ma anche inducendo un senso di colpa nel personale perchè equità salariale e conquista di un salario dignitoso diventassero una sorta di rivendicazione inutile e dannosa, antiquata rivendicazione tesa a un egualitarismo non al passo con i tempi.
A una contrattazione di secondo livello capace di ricostruire meccanismi di distribuzione del salario tali da compensare le disuguaglianze del contratto nazionale , nel corso del tempo, si sono contrapposti la centralità del modello organizzativo e degli obiettivi strategici, il tutto si è poi tradotto nello smantellamento dei processi di formazione (ridotti all’osso e destinati solo a poche figure “strategiche”) e ai mancati investimenti degli enti locali su tutte le attività e professionalità.
Se non si comprendono le dinamiche contrattuali degli ultimi anni non si va lontano, quindi bisogna ripartire dalla progressiva distruzione del contratto nazionale (dalla illusione della concertazione, alle materie dirimenti ormai oggetto solo di informazione , non dimenticando la miseria della indennità di vacanza contrattuale al posto degli arretrati) per arrivare alla fase decentrata che da anni ormai non consente alcun recupero effettivo del potere di acquisto.
Contrattazione di primo e di secondo livello sono ormai mosse dalle stesse logiche di divisione della forza lavoro e della sua ricattabilità, tra indennità e cicli della performance
Per riproporre i percorsi di PEO è indispensabile a priori aver definito un impianto normativo contrattuale decentrato che in un periodo predeterminato pluriennale ( esempio di tre anni, ma anche cinque) garantisca a tutti l’opportunità di partecipare a percorsi di progressioni economica. Anzi sarebbe auspicabile ipotizzare una programmazione di “opportunità” a scadenze poliennali, per passare dalla prima all’ ultima posizione economica della categoria, scaglionate nel tempo rispetto all’ ipotetico percorso lavorativo. Ovviamente si possono definire priorità di categoria ( visti i diversi costi) ma anche determinare numero e costi in funzione dei tempi delle cessazioni, per cui alimentando una sorta di “solidarietà” salariale generazionale tra chi è al termine della carriera lavorativa e chi l’ ha iniziata dopo. Il contrario di quello che le logiche padronali cercano di imporre da tempo nel mondo del lavoro tra le diverse generazioni.
Non bisogna dimenticare quello che anni fa ci raccontavano, ovvero che le PEO erano sostitutive degli scatti periodici di anzianità, e allora debbono essere previste, in base a regole contrattuali stabili nel tempo, come opportunità a scadenze periodiche prestabilite.
Ma siamo certi che i prossimi contratti nazionali prevedano percorsi del genere dettando alcune linee guida che vadano verso una distribuzione equa per tutti\e? Se cosi’ fosse al centro delle rivendicazioni ci sarebbe la cancellazione della “legge Brunetta” di cui invece nessuno parla.
Le Peo andrebbero intese come accrescimento salariale secondo scadenze e tempi certi e definiti rispetto alla carriera lavorativa, riconosciute sulla base di elementi valutativi non discrezionali ma trasparenti, a prescindere dall’ appartenenza categoriale o dall’interesse della parte pubblica a favore particolari categorie, profili professionali, o settori .
In assenza di tutto questo, in assenza di una rivendicazione forte a livello nazionale e locale, meglio spingere con piani della performance che aumentino a dismisura il peso della performance organizzativa ( valutazione collettiva settoriale o di ente) diminuendo al minimo il peso della valutazione individuale.
Questo in considerazione che il prossimo CCNL normativo pare sia obbligato a recepire i contenuti della scellerata “legge Brunetta”, che stabilisce di destinare la parte preponderante delle risorse dei fondi alla premialità, escludendo “per legge” un quarto del personale da ogni produttività. E allora occorre disinnescare il rischio insito in questo strumento non esponendo individualmente i singoli ai rischi salariali della valutazione, che suonerebbe alla fine come “danno e beffa”.
Il danno: l’ esclusione dalla 1° fascia di merito ( che è riservata solo al 25% dl personale) che ha come effetto conseguente la riduzione o l’ esclusione dalla produttività individuale.
La beffa: la collocazione nella fascia di merito più alta “costituisce titolo prioritario ai fini dell’attribuzione delle progressioni economiche”, per cui con essa si predeterminano i risultati dell’ attribuzione delle PEO.
Ecco perché occorre aprire un conflitto più generale sul sistema di ridistribuzione del salario in sede di contrattazione, in quanto se non si inseriscono profondi correttivi il risultato di attribuzione di una prima quota di Peo ( probabilmente al 25% della 1 fascia) abbia come effetto, con un prossimo contratto normativo che destinerà la maggioranza dei fondi alla performance, l’ impossibilità di fatto di una contrattazione economica annuale.
Lo scenario possibile ( da quel che circola sui media) è infatti un nuovo consolidamento dei blocchi del fondo al 2015, e se a questo verrà nuovamente associata una riduzione dello stesso in rapporto alle cessazioni, potrebbe anche ridurre drasticamente la futura possibilità di effettuare Peo utilizzando le risorse lasciate dai cessati.
E’ casuale che le “scorribande” del legislatore in questioni di tipo contrattuale alternino anni di blocchi e proroghe degli stessi , e poi a seguire apparenti attenuazioni di questi per brevi periodi? Assolutamente no, è il classico sistema usato da chi vuol dividere lavoratrici/lavoratori, anche per il complice silenzio assenso dei confederali.
Non cadiamo quindi nel trabocchetto di chi vuol far credere che le risorse destinate alla produttività sono solo quelle messe “poco generosamente” a disposizione dagli Enti annualmente per valorizzare personale e obiettivi. La stragrande maggioranza delle risorse ( per non dire la totalità) con cui si finanzia la produttività collettiva, ma anche le indennità e purtroppo anche P.O. e le pseudo PO come particolari responsabilità, provengono dalla parte stabile del fondo, o da risorse che avrebbero dovuto in maniera proporzionale garantire il potere d’acquisto dei salari di tutte/i.
Non cadiamo nella trappola della disinformazione costruita con i luoghi comuni che i “padroni” da sempre usano soprattutto quando si sono creati regole per perpetuare un’ egemonia culturale, usando l’ Aran e i suoi orientamenti per “pontificare” avversando le rivendicazioni sindacali, salvo poi disattendere certi orientamenti quando serve per assecondare logiche di consenso e di potere di amministratori e dirigenti.
La questione salariale la riteniamo complessiva, e come tale non può essere affrontata se non attraverso conflitti e piattaforme rivendicative in cui ci stiano tutte/i dentro, perché separando PEO da produttività si fa il gioco di chi vuol dividerci.
Come allo stesso modo fa al nostro interno chi vuol far apparire i sostenitori di questa linea di interelazione salariale fra produttività e PEO in visione collettiva, come i rappresentanti degli interessi di chi è a fine percorso e non può fare altre PEO.
E allora a certi personaggi che vogliono crearsi, simpatie e spazi di attenzione fra i neo assunti alimentando divisioni, dedichiamo le parole di F. De Andre, “..Si sa che la gente dà buoni consigli sentendosi come Gesù nel tempio, si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare cattivo esempio..“
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