November 24, 2024
Riceviamo e pubblichiamo
È tempo di garanzie – bail – per cercare di salvare i cocci. Da decidere solo se in o out, se il bail debba essere in, cioè a carico del sistema bancario, oppure out, ad opera di un ente esterno, lo Stato. Ma sia l’una sia l’altra delle opzioni, qualcuno le garanzie le deve dare.
Nel sistema bancario i fallimenti non sono più “accettati”: dal 2008, dopo l’esperienza di Leheman Brothers, con tutte le conseguenze, Banche Centrali e governi si sono adoperati con dedizione al salvataggio, a fornire le garanzie per dare fiducia, quella che consente ad un sistema fondato sul debito e sul capitale fittizio di continuare ad andare avanti. Questo è stato condotto dalle autorità monetarie e politiche anche in modo indiretto con l’acquisto da parte delle Banche Centrali di riserve contro titoli, di cespiti bancari. Questa attività è conosciuta come “alleggerimento quantitativo” – quantitative easing – per “stimolare”, si dice così, il ritorno degli investimenti nel circuito industrie-famiglie-produzione-consumi, quando il denaro, benché il suo costo sia quasi azzerato, non viene più utilizzato nel processo produttivo.
Regno Unito, Germania, Francia, per non parlare degli Stati Uniti, sono intervenuti con cospicui salvataggi – bail out – in tutti questi anni di crisi, in salvataggi per miliardi di euro in USA e in Gran Bretagna di banche nazionali in difficoltà. Tanto per dare un numero, nel 2011 la sola Germania è intervenuta con 418 miliardi di euro a sostegno delle proprie banche pericolanti.
Ma nei bail out alla fine sono soldi pubblici che corrono, il debito pubblico cresce, e questo non va bene, almeno non per tutti. Figurarsi nell’Europa dell’euro, con una Banca Centrale sovranazionale e altri organi di controllo degli investimenti e della spesa pubblica, se i presunti Stati “virtuosi” avrebbero potuto accettare ulteriori interventi, con dilatazione della spesa pubblica, da parte dei “poco virtuosi”.
Una lamentela ricorrente dei tanti ed articolati settori anti euro si fonda proprio su questo diverso trattamento all’interno della coalizione politico-finanziaria europea tra membri solo formalmente uguali. Non che questi movimenti non descrivano una situazione effettiva all’interno della Comunità, ma è ridicolo il loro vagheggiare che una iniziativa nazionale potrebbe parare la violenza della crisi generale del capitalismo – e di conseguenza della sua finanza – con il ritorno agli strumenti nazionali della spesa pubblica, degli interventi sui cambi, della politica economica statale.
Una facile profezia. Quando si andranno a delineare i fronti, allora le unità sovranazionali andranno in pezzi.
In particolare una Banca, e più in generale un sistema bancario, si dice “in sofferenza” quando non è più gestibile lo squilibrio tra partite attive e passive, quando i soldi prestati – una partita che per la banca è computata tra le attive – rischiano di non essere restituiti, o sono sicuramente andati perduti.
Poi viene il resto, l’investimento nei titoli ad altissimo rischio, l’allargamento del credito oltre ogni “ragionevole” limite, al quale ha contribuito la grande finanza privata. Il sistema bancario ha continuato a generare nuovo credito, che è rimasto in larghissima parte nel circuito finanziario bancario, per le grandi banche che potevano permetterselo. Qualcuna, in terra italica, allemanna o franciosa, si è compromessa con speculazioni più che azzardate con i famigerati titoli tossici: sono state “salvate” con un out per cifre più che ragguardevoli. Per le piccole e medie, legate al territorio ed alle sue potenzialità produttive, la crisi della riproduzione del capitale nel ciclo produzione-consumo ha significato insostenibili scompensi di bilancio.
Per quelle d’Italia quindi niente bail out, semmai un bail in ridotto. A rimetterci le penne sono stati per ora i detentori delle obbligazioni ad alto rischio e delle azioni, ma se la frana dovesse allargarsi allora il bail in diverrebbe davvero generale, fino ai conti di deposito.
Ovviamente l’origine del disastro viene individuata nella circonvenzione dei risparmiatori per raccogliere denaro fresco, come si definisce, nella truffa ai danni dei depositanti, e via fino al malgoverno della banca in scellerata incapacità, o immoralità per tornaconto personale. Invece quell’origine risiede nella natura e nelle leggi del capitalismo, in una dinamica economica che esterna al sistema bancario e finanziario stesso. Poi si dà ad intendere che con un controllo stretto da parte delle Autorità bancarie tutto questo, compresi i suicidi all’uscita del casinò degli investimenti, si sarebbe potuto evitare.
È vero che anche il bail in parziale è un tentativo di salvare parte degli investitori e dei depositanti. Le banche non sono lasciate fallite. I crediti inesigibili, i titoli spazzatura, tutto quanto attossica i bilanci è messo da una parte, nel cestino della carta straccia. Un “Nuovo” innanzi alla vecchia ragione sociale della Banca, qualche discreta cura dimagrante, e la mostra di riprendere il cammino con i bilanci in ordine. Del grande cumulo di spazzatura qualcuno dovrà prima o poi fare le spese. Intanto essenziale è aver guadagnato tempo, aver posposto il redde rationem.
È evidente che si ha così una generale distruzione di ricchezza, e suo massiccio trasferimento, tramite il sistema fiscale, dai salari della classe operaia e dai risparmi della piccola borghesia verso le banche. Sul piano sociale continua quindi lo slittamento delle mezze classi o dei lavoratori con qualche riserva nelle file dei senza riserve. Anche questo previsto e studiato dalla nostra dottrina e a noi comunisti la situazione è evidente. Possiamo non prevedere il momento preciso, anzi spesso l’entusiasmo rivoluzionario ci ha portato a vedere vicino ciò che era ancora molto lontano nel tempo. Felix culpa. Ma questa che da sette anni il capitalismo ed il proletariato stanno vivendo è la lunga fase della crisi generale prevista dalla nostra dottrina, e qualunque espediente, teoria o pratica che pretenda di superarla, e peggio ancora alla semplice scala nazionale, rimanendo all’interno del sistema del profitto è una miserrima ed impotente panacea controrivoluzionaria.
Quanti per timore od orrore della Rivoluzione sociale pretendono di salvare il capitalismo da se stesso con un capitalismo riformato e più equo, si troveranno arruolati, lo vogliano ora o no, nei ranghi della controrivoluzione.
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