November 25, 2024
C’è un limbo appeso nella crisi sociale italiana. Non è solo quello più riconoscibile e macroscopico della disoccupazione dei giovani, ingabbiati nell’attesa di un lavoro o nella prigione del precariato a vita. È anche quello meno evidente e perfino non definito da statistiche certe, di centinaia di migliaia di vite di lavoratrici e lavoratori che, passati da una interruzione all’altra dell’attività, sbattuti da un padrone all’altro, da una perdita ad una sconfitta, si ritrovano tra i 45 e i cinquanta anni senza più nulla. Nemmeno il magro privilegio dell’età. Anzi, arrivati a quella soglia che altrimenti dovrebbe essere normalmente produttiva, si sentono dire che «sei troppo vecchio per trovare un lavoro e troppo giovane per andare in pensione».
Sono esperienze fondamentali per capire come si è sviluppata la crisi economica e sociale del capitalismo finanziario che ha devastato la struttura produttiva internazionale e che conta ormai l’ottavo anno. Nonostante la retorica degli annunci sul zerovirgola, renziani, confindustriali, dell’Ue o del Fondo monetario. Esperienze che purtroppo pochi raccontano.
Che si realizzi la cancellazione di vite e conoscenze professionali sfugge ai più. Raccontare questa realtà vuol dire mettere le anni dentro la «crisi», la paroletta che tutti c’incanta, per rinominare la questione centrale del lavoro umano e della sua fine attuale nell’orizzonte della merce.
Leggi tutto l’articolo di Tommaso di Francesco nel documento in allegato o al seguente indirizzo:
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