November 24, 2024
Vergogna, vergogna, il grido degli operai di fonderia che si è levato dal presidio permanente ai cancelli della Carlo Colombo, una azienda alle porte di Pisa ,nella zona industriale di Ospedaletto.
La zona industriale dove ritrovi le aziende partecipate del Comune, piccole officine e vie di capannoni dismessi oltre a due aziende farmaceutiche e una metallurgica, alcune migliaia di lavoratori\trici divisi per contratto, datore di lavoro, con orari diversi e una organizzazione del lavoro che rende difficile l’incontro e il confronto
Pensata quasi 40 anni fa, oggi l’area industriale di Pisa est alterna zone produttive ad aree abbandonate e dismesse o a capannoni che non saranno mai ultimati
Da almeno un anno si respirava aria di crisi alla Carlo Colombo, già un anno fa uno sciopero mise in evidenza le troppe ombre attorno al futuro produttivo della fabbrica
Da anni i sindacati presenti in azienda (Fiom, Fim e Cisal) si sono limitati alla vertenza istituzionale, alla firma di innumerevoli ammortizzatori sociali fino a quando, pochi giorni fa, l’azienda ha dichiarato la mobilità per l’intera forza lavoro
Ma cosa si cela dietro ai motivi tecnici, organizzativi e produttivi, di cui parla Raimondo Feliciano della Cgil, che hanno portato al licenziamento di 68 operai nella fonderia Carlo Colombo?
Intanto è bene utilizzare le parole giuste, la riduzione di personale riguarda la totalità del personale (incluso il direttore) che opera nel sito di Ospedaletto, in sintesi la fabbrica (di lavorati in rame) chiude i battenti e licenzia, non per delocalizzare la produzione ma semplicemente per la crisi del settore. Una azienda, la Carlo Colombo, nata nel 1947 che nel 2009 riunisce sotto il nome di Carlo Colombo spa le sue tre fabbriche ove fino a ieri lavoravano in 250.
La proprietà della Carlo Colombo è detenuta da banche e istituti finanziari per i quali il lavoro è solo una variabile dipendente dai loro profitti, quindi giudicando improduttiva l’attività , con gli ultimi anni trascorsi nella assoluta incertezza tra contratti di solidarietà e cassa integrazione, hanno deciso di chiudere la produzione.
Ai cancelli gli operai sono smarriti, ci parlano di un padrone che ormai ha trasferito all’estero la sua residenza e tra i proprietari dell’azienda hanno prevalso le ragioni della finanza che non sente ragioni e vuole chiudere ogni attività produttiva limitandosi allo stabilimento di Pizzighettone
Ma la domanda da porci è solo una: l’industria del rame è veramente in crisi?
I dati economici sembrerebbero dire il contrario, infatti solo in Europa ci sono 500 compagine con un fatturato che supera 45 miliardi di euro e impiega piu’ di 50 mila lavoratori\trici
La domanda di rame, contrariamente a quanto leggiamo è in crescita, le statistiche parlano di un raddoppio negli ultimi 25 anni, numerose aziende si sono indirizzate verso lo sfruttamento della totale riciclabilità del rame (che mantiene le sue caratteristiche originali). Nel corso degli ultimi 10 anni è stato stimato che il 41% della domanda di rame nella UE-27 sia stata soddisfatta dal riciclo interno industriale e dai prodotti giunti alla fine della loro vita utile (Glöser, Simon; Soulier, Marcel; Tercero Espinoza, Luis A. (2013)). I prodotti di rame hanno un elevato valore aggiunto (dalle utilies dell’energia alle automative, dall’edilizia alla elettronica)
Se la chiusura della azienda viene giustificata con la crisi del rame, è doveroso non crederci, piuttosto viene il dubbio che le multinazionali occidentali vogliano investire in Cina. Pur in uno scenario di generale debolezza, solo nel 2013, la domanda mondiale di rame ha toccato il record di 25,5 milioni di tonnellate
Al presidio di oggi era presente anche il sindaco di Pisa , Marco Filippeschi (pd) insieme a esponenti della Regione
L’impegno delle istituzioni, di aprire un tavolo istituzionale in Regione, avviene con mesi di ritardo perché le lettere di licenziamento arrivano dopo mesi di lenta agonia, un anno trascorso in attesa di risposte e di un piano di rilancio dell’azienda rilevatosi inesistente
La fonderia di Ospedaletto ha impianti moderni che potrebbero essere utilizzati per anni, di certo si guarda al mercato asiatico dal quale i semilavorati in rame arriveranno a costi inferiori pagando la manodopera locale meno di 3 euro all’ora.
Il presidio va avanti ad oltranza e nel frattempo è arrivata anche la solidarietà dei cobas che in comunicato accusano il Governo di vaneggiare quando parla di ripresa economica dimenticando le decine di fabbriche \aziende che stanno chiudendo anche per l’assenza di investimenti tecnologici e per la delocalizzazione di interi rami produttivi
I tavoli istituzionali , sempre per i Cobas, non potranno limitarsi alla riduzione del danno e qualche elemosina da erogare a chi perde il posto di lavoro. Quanti oggi speculano in borsa e in finanza sulla pelle dei lavoratori debbono essere perseguiti con forza destinando i proventi delle loro speculazione agli operai che hanno messo a casa
Oggi piu’ che mai il ruolo del sindacato non puo’ essere quello di ridurre il danno e di invocare ammortizzatori sociali che il Governo ha fortemente compresso, le stesse istituzioni locali devono scegliere la strada di far pagare alle aziende che dismettono la produzione un costo salato in termini di tassazione. Troppe volte-concludono i Cobas-le aziende hanno beneficiato di sgravi e di aiuti delle istituzioni locali senza dare nulla in cambio e alla occorrenza chiudere la produzione o scegliere di delocalizzarla dove il costo del lavoro è ai minimi termini
L’assenza di una politica industriale degna di questo nome palesa la pochezza del Governo Renzi che tra tagli e patti di stabilità non investe nella ricerca e nelle tecnologie ed è sempre piu’ ostaggio delle politiche di austerità
Cobas Pisa
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