Un torto subito da un lavoratore è un torto fatto a tutti (IWW)

Dal lavoro gratuito allo smantellamento dello stato sociale. Cosa si cela dietro la riforma del Terzo settore

Postato il 11 Giugno 2016 | in Italia, Scenari Politico-Sociali | da

Terzo-Settore«Il social act fa un altro importante passo in avanti: con la riforma del Terzo Settore, che realizza un impegno assunto dal governo, si costruisce un tassello essenziale delle nuove politiche sociali del nostro Paese».

Questo intervento dà un importante sostegno alla costruzione di un buon futuro dell’Italia fondato su una società inclusiva, capace di coinvolgere a pieno le energie e le potenzialità di cui dispone

Ministro del lavoro G. Poletti

Non è possibile capire la riforma del terzo settore, approvata dal Parlamento lo scorso 25 Maggio, senza guardare alle associazioni di volontariato non solo come uno strumento di straordinario consenso politico al Pd ma nella veste di strumento per una feroce revisione dello stato sociale e del modello welfare che ha caratterizzato il nostro paese negli ultimi 50 anni.

Secondo noi non è possibile discernere la “riforma” dall’utilizzo insano e selvaggio dei voucher e la istituzione del lavoro gratuito in Expo e nel Giubileo con tanto di accordo sindacale sottoscritto da Cgil Cisl Uil

Facciamo di ogni erba un fascio? Risposta negativa e proveremo in sintesi a spiegare le nostre ragioni senza dimenticare che all’ennesima controriforma seguiranno innumerevoli decreti attuativi da qui a un anno, tanto per smentire il luogo comune di un Governo semplificatore

Il terzo settore consente al Governo di procedere a tappe forzate verso lo smantellamento del welfare erogato direttamente dal pubblico, al posto di lavoratori\trici regolarmente assunti e contrattualizzati, formati e con regolare contratto e formazione subentreranno figure di pseudo volontari, un po’ quello che da tempo sta succedendo in sanità con servizi quali il trasporto sociale e quello sanitario gestiti da associazioni che utilizzano come forza lavoro uomini e donne costrette al volontariato come misura alternativa a una pena

Si fa strada non l’associazione di volontariato ma l’impresa del terzo settore, impropriamente definita impresa sociale, alla quale demandare la erogazione di servizi alla collettività in nome di un welfare “moderno” che nei fatti si basa sul lavoro gratuito, sfruttato, sulla riduzione di fondi alla istruzione, alla sanità, una riduzione di spesa che non riguarda ormai solo lo Stato centrale ma a cascata le autonomie locali, dalla Regione ai comuni piu’ piccoli e a cascata investe il terzo settore a cui destinare bandi e appalti al ribasso (del resto il nuovo codice degli appalti non prevede la eliminazione del massimo ribasso, quello per altro piu’ esposto ai rischi della corruzione che dilaga all’ombra degli appalti pubblici. Il massimo ribasso resta negli appalti inferori al milione di euro che sono piu’ o meno l’80% del totale degli appalti senza dimenticare che nei casi dell’offerta economicamente piu’ vantaggiosa la proposta migliore sarà vagliata e scelta da una commissione di esperti che solo in alcuni casi-quando si supera la soglia comunitaria pari a 5,2 milioni di euro- sarà attinta da un elenco curato dall’aac, in tutti gli altri casi, ossia la quasi totalità degli appalti, da membri interni all’ente e scelti con assai poca trasparenza)

La riforma del terzo settore si spiega solo dentro il contesto europeo di smantellamento del lavoro e del welfare, di riduzione della spesa sociale ridisgnando un welfare al massimo ribasso appaltato alle imprese del terzo settore senza alcun controllo di direzione ed effettivo controllo dello stato.

Nasce cosi’ la società benefit che poi è una impresa sociale con i suoi utili\profitti che inserisce nello statuto qualche clausoletta che individua obiettivi a beneficio comune, da non confondere tuttavia con le imprese sociali che teoricamente non possono avere fini di lucro pur potendo collocare sul mercato servizi e beni da cui traggono una fonte di guadagno, forti anche dell’inquadramento contrattuale sfavorevole (quando un contratto lo hanno e non sono pagati con i voucher o qualche rimborso spese) della loro forza lavoro malpagata e sfruttata.

Da oggi dovremo imparare a convivere con nuovi termini e concetti, magari rigorosamente in lingua inglese per annebbiare le menti e confondere le idee creando nell’immaginario collettivo una narrazione che mistifica la realtà

Che ci sia fine di lucro o no, che sia una impresa sociale o una società di benefit resta il fatto che le condizioni retributive e contrattuali saranno tutte al massimo ribasso e se fino ad oggi era fatto divieto di distribuire gli utili, pur con alcuni paletti, da domani sarà possibile farlo fatta salva la destinazione prioritaria degli utili al conseguimento dei fini sociali per i quali è nata la società

Siamo altresi’ certi che un bravo legale\commercialista , compresa bene la riforma, non tarderà a trovare scappatoie di vario genere.

Siamo anche convinti che questa riforma costruirà un sistema di lavoro gratuito e di precarietà ancora piu’ forte di quello delle cooperative, anzi pensiamo che queste ultime non debbano dormire sonni tranquilli con un concorrente cosi’ spietato che potrà avvalersi di figure volontarie che abbasseranno ulteriormente i costi dei servizi.

Di sicuro il fondo per lo sviluppo, deciso dal mistero del lavoro e delle politiche sociali, resta una incognita non solo per il suo ammontare ma anche per la finalità dello strumento perchè i progetti delle associazioni del terzo settore sono spesso funzionali ad obiettivi prettamente politici

La riforma del Terzo settore si prefigge comunque obiettivi ambiziosi e socialmente pericolosi perchè si poggia sul potenziamento della iniziativa economica privata che diventa una sorta di conditio sine qua non per tutelare i diritti civili e sociali, quindi una sorta di supremazia dell’impresa e del mercato rispetto al ruolo sociale dello Stato(da un governo che cancella la Costituzione antifascista che ci poteva attendere?)

Sul riordino della disciplina del terzo settore il discorso si fa invece piu’ complesso perchè siamo consapevoli che molte associazioni non abbiano la cultura e le condizioni per adottare un controllo interno all’insegna della trasparenza e della rendicontazione che il testo di legge sostiene di volere garantire. Basti ricordare a come le varie pubbliche assistenze e misericordie operino sul territorio, il colossale giro di affari dietro alle loro attività sociali e non per capire la vera posta in gioco.

Esiste poi un deficit democratico all’interno del terzo settore del tutto simile a quello denunciato in altre forme aggregative, se l’obiettivo è rilanciare la democrazia partecipativa alle decisioni che contano possiamo ,senza timore di smentita, asserire che le decisioni dirimenti sono sempre e solo prese in circuiti ristretti . Se guardiamo ad alcune associazioni ci rendiamo conto che la esistenza di vari livelli al loro interno determina il sostanziale accentramento del potere decisionale ed economico nelle mani di ristretti gruppi per lo piu’ espressione di ceto politico o destinati a diventarlo (ricordiamo il ruolo del terzo settore nell’elezioni di sindaci e consiglieri locali e regionali, un potere lobbistico che controlla milioni di voti oltre a un flusso di denaro ragguardevole)

Un discorso a parte e meritevole di approfondimento riguarda le misure fiscali e di sostegno economico al terzo settore tra deducibilità e detraibilità di imposte senza menzionare poi le agevolazioni per favorire investimenti di capitale a vari livelli

Non è casuale che dentro la riforma (mai nome fu piu’ errrato) del terzo settore ci sia anche la revisione dei centri di servizio per il volontariato e non ci meraviglieremmo che nella interazione tra scuola e lavoro spuntasse anche il terzo settore che cosi’ potrà guadagnare ulteriore forza lavoro gratuita

Concludiamo con la riforma del servizio civile nazionale destinato anche a cittadini stranieri residenti in Italia e di età compresa tra i 18 e i 28 anni, un servizio civile al quale preferiremmo un piano di investimento destinato al recupero del territorio investendo in lavori socialmente utili pagati 700\800 euro al mese che potrebbero svolgere un ruolo importantissimo , assai piu’ utile degli sgravi fiscali alle imprese. Ma a tale scopo servirebbe un intervento statale degno di questo nome, l’esatto contrario del disimpegno e della dismissione del ruolo pubblico nel welfare e nei servizi alla persona che poi è la filosofia guida di questa riforma del terzo settore

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