November 27, 2024
I lavoratori non sono uomini e donne di vetro, trasparenti e scrutabili all’interno per misurarne la conformità alle esigenze aziendali . Questo desiderio malsano di potere di controllo è stato in qualche misura bloccato da una raccomandazione del Consiglio d’Europa che pone dei limiti al potere delle aziende di “monitorare” i lavoratori.
La disinvoltura del governo nel concedere alle aziende, nel Jobs Act, i controlli a distanza sui lavoratori tramite gli strumenti di lavoro elettronici ( pc, smartphone, sistemi di geolocalizzazione nei trasporti, bracciali elettronici e chip inseriti nelle scarpe da lavoro e …altro ancora ) ha subito, sia pure indirettamene, una censura severa da parte del Consiglio d’Europa
La raccomandazione del Consiglio d’Europa non mette in discussione le strumentazioni di controllo “difensive” ai fini della sicurezza aziendale, mette invece in discussione, come si evince dal documento, tutte quelle azioni di “monitoraggio” che consentono all’impresa di costruire un “profilo” del lavoratore che va ben oltre la relazione di lavoro.
Le tecniche di profilazione dei comportamenti sono ora accessibili con software a basso costo e possono divenire strumenti di violazione della privacy della persona per aspetti che poco hanno a che fare con la prestazione lavorativa.
Il rischio di una violazione di massa della privacy è stata la preoccupazione che verosimilmente ha mosso il Consiglio dei ministri europei. Una preoccupazione che ha origine dalla cultura liberale in questo caso è tornata utile ai lavoratori.
Una cultura liberale che pare non essere patrimonio dei nostri governanti. L’equazione che i lavoratori italiani sono anche cittadini europei portatori di diritti, tra i quali quello della privacy, non ha neppure sfiorato la mente di Renzi e Poletti e dei loro illustri consulenti giuridici.
Il Jobs Act apriva le porte ad un uso disinvolto delle nuove tecnologie per il controllo a distanza dei lavoratori. Dal Consiglio d’Europa è arrivato uno stop con un chiaro divieto ai datori di lavoro di monitorare e raccogliere dati sensibili dei loro dipendenti.
Questo non è l’unico limite che le aziende dovranno rispettare per non invadere la vita privata dei loro dipendenti. Nella raccomandazione del Consiglio dei ministri europei vi sono poi una serie di paletti sia rispetto al controllo della corrispondenza sia rispetto all’utilizzo di queste informazioni raccolte tramite le nuove tecnologie di tracciamento presenti in molte macchine elettroniche.
E’ probabile che i decreti attuativi del Jobs Act in materia di controlli a distanza subiscano un forte ritardo se non un prudenziale accantonamento: sarebbe saggio e sarebbe auspicabile che il governo desse ascolto alla raccomandazione del Consiglio d’Europa.
Oltre il lavoro, su questa tematica dei controlli a distanza o meglio sulle potenzialità di profilazione delle persone tramite i comportamenti in rete, in particolare sui social network, sarebbe opportuna una campagna d’informazione preventiva che suggerisse alle persone di non consegnare inconsapevolmente un insieme di dati che organizzati divengono un profilo che può essere giocato contro di loro.
Sono troppi i giovani che raccontano i propri fatti privati in rete e sono molti gli addetti degli uffici del personale delle aziende che vanno a ricercare informazioni in rete sui candidati ad un’assunzione e a volte qualcuno viene escluso proprio in ragione dell’immagine che ha dato di sè su facebook o twitter. Gino Rubini
documentazione
1) Lavoro e privacy: Strasburgo frena sull’uso della tecnologia per monitorare i dipendenti
http://www.repubblica.it/economia/2015/04/03/news/lavoro_e_privacy-111153028/
2) Jobs Act, l’occhio della Ue su microchip e braccialetti per controllare i lavoratori
3)Commento Prof.Meucci su Controlli a distanza
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