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Area vasta: apriamo il dibattito

Postato il 11 Novembre 2015 | in Lavoro Pubblico, Scenari Politico-Sociali, Sindacato, Territori | da

Dalle Fusioni dei Comuni all’ Area Vasta      ( ….dalla padella alla brace)

fusione-comuneFusioni dei comuni e città metropolitane, sono ormai da tempo lo strumento di pseudo riforma istituzionale che il Governo, le Regioni e l’Anci promuovono e sbandierano con sempre maggiore insistenza, enfatizzandone la funzione di presunto risparmio del costo dei servizi erogati dagli enti locali.

In realtà il disegno messo in atto parte da lontano, un processo strisciante che, utilizzando come copertura la legge delega sul federalismo fiscale, sviluppa un nuovo centralismo, statale e regionale, non solo in termini di controllo di spesa, ma per contrarre gli spazi di democrazia.

Chi vuole accentrare ogni processo di decisione politico amministrativa ha interesse a diminuire e ostacolare lo sviluppo di qualsiasi forma di democrazia dal basso, che le autonomie locali, attraverso il loro articolarsi in comunità sul territorio, storicamente hanno rappresentato contrapponendosi ai governi e ai poteri centrali.

Gli obblighi imposti ai comuni più piccoli di convenzionarsi o di strutturarsi in unioni per gestire alcune funzioni fondamentali, ma soprattutto gli incentivi statali e regionali rivolti a favorire le fusioni fra gli enti locali con l’ esonero temporaneo per gli stessi dal rispetto del patto di stabilità, confermano inequivocabilmente la volontà di contrazione di ogni spazio di autonomia comunale e la perdita di un reale potere decisionale e di controllo da parte di cittadine e cittadini.

Oramai i comuni sono costretti a svolgere il ruolo di “esattori” di Stato e Regioni, nella sostanza attuano scelte politiche imposte dall’ alto per ridurre i diritti sociali e del lavoro, per cancellare gradualmente ogni forma di erogazione diretta dei servizi pubblici e il loro carattere di gratuità e universalità.

Se qualcuno in tal senso avesse ancora dubbi saremo noi a confutarli: le fusioni tra Comuni, come le città metropolitane, non sono un vantaggio per i cittadini e per il personale degli enti locali, i primi sono danneggiati dalla riduzione dei servizi e degli sportelli e con sempre maggiori costi a loro carico, i secondi subiscono aumento dei carichi di lavoro e delle prestazioni richieste. Le conseguenze sono la diminuzione dei diritti e dei salari.

Siamo sempre più convinti che le fusioni e le città metropolitane, ma anche il nuovo assetto delle Province, siano sono funzionali a una casta politica che teme di perdere il controllo dei Comuni stessi. Aggregandoli si attua un operazione politica e di potere distruggendo la funzione della comunità locali e il sistema di relazioni sociali e di difesa dei beni comuni e del territorio che esse esprimono, per aumentare sfiducia e disinteresse verso le stesse e  così allontanare da cittadini e cittadine i luoghi della decisione.

Infatti lo smantellamento dei comuni più piccoli esclude i cittadini dal controllo sulle decisioni più importanti in nome della emergenza sicurezza e del rilancio dell’economia, per il quale servirebbero non chiacchiere, ma investimenti statali e la cancellazione dei patti di stabilità che rendono impossibile la manutenzione di scuole, strade, territorio, ambiente.

E’ ormai evidente che quanti “occupano” i posti di governo  abbiano tutto l’ interesse a perpetuarsi mettendo in atto un sistema radicato di potere, fatto in larga parte a livello locale di nominati e designati al loro interno ( presidenti e amministratori delle province e delle città metropolitane, rappresentanti nei cda delle società pubbliche e partecipate), una classe di piccoli boiardi all’ occorrenza utile e determinante per acquisire consensi nelle competizioni elettorali

Ma anche i processi che si sta tentando di mettere  in atto in una realtà come quella pisana, rivolti a costruire forme di governance per un governo territoriale di area vasta, non sono immuni da simili contagi, conseguenza di logiche di potere rivolte a garantire cariche e prebende e a creare possibili luoghi ove la governance è intesa come  governo ed egemonia dell’impresa sul territorio con le inevitabili privatizzazioni ed esternalizzazioni dei servizi.

Queste logiche di accorpamenti apparentemente soft, nel caso pisano, sono in realtà connessi ad un’idea di un unico Ente con una popolazione di circa 200 mila abitanti, e con il comune capoluogo di provincia a svolgere il ruolo trainante, e comandate, da un unico “satrapo”; nelle dimensioni e nei poteri da area metropolitana.

Area vasta dovrebbe includere pianificazione e gestione del territorio e delle risorse in esso presenti, ma in realtà tutto si tradurrà  nell’aumento e nella rilocalizzazione delle aree fabbricabili, in quanto per aggirare l’ipotizzato “stop” all’ incremento del consumo di suolo previsto dalla nuova legge regionale,  vi è bisogno di ampi più spazi.

Non a caso tra alcuni comuni da tempo è stato trovato un accordo per adottare lo stesso regolamento edilizio, che se viene pubblicizzato come elemento di trasparenza e semplificazione, in realtà per qualcuno sottende l’ intendimento di iniziare a costruire e ripetere operazioni analoghe a quelle già viste sul litorale, sui Navicelli, a Pisanova \ San Cataldo.

In questi anni, come il caso fideiussioni dimostra, la costituzione di società partecipate ha dato vita a tante scatole cinesi mentre il soggetto pubblico rinuncia a priori a controllare, pianificare e dirigere con un ritorno solo negativo sull’ente stesso in termini di costi aggiuntivi per la cittadinanza.

Le scelte politiche hanno finito per essere subordinate o a connettersi con quelle di un governo d’impresa pubblica o pubblico privata che si basa infatti sugli azionisti, sui consigli di amministrazione e sul management. Peccato che nessuno di questi soggetti debba rispondere delle varianti urbanistiche costruite ad arte per agevolare soggetti privati, o di fideiussori che non hanno alcun titolo a dare garanzie al Comune creditore, che infine ha preso per buoni crediti che potrebbero essere solo carta straccia.

In questo quadro viene meno non solo il ruolo di controllo da parte degli uffici ma le ripercussioni negative che graveranno sul bilancio dell’ente o sui mancati interventi previsti come opere di urbanizzazione. Questo infatti dimostra che mentre l’ ente locale accetta e subisce i vincoli di finanza pubblica,  o cerca di aggirarli privatizzando,  finisce per esporsi ai condizionamenti dell’ urbanistica contrattata con imprese in cui la logica della rendita fondiaria e delle operazioni finanziarie rappresenta l’ unico vero obiettivo, ossia la realizzazione di opere e infrastrutture collettive di servizio  come contropartita virtuale da promettere all’ ente locale.

D’ altronde è ormai evidente a tutti che il comune capoluogo ha abdicato da tempo al proprio ruolo di gestione diretta dei servizi a partire dalle privatizzazioni ed esternalizzazioni, ma non è riuscito a sviluppare nemmeno alcuna capacità di programmazione effettiva finendo per demandarla ( casualmente o per interessi superiori) nelle ipotesi migliori alle proprie partecipate, in altri casi a soggetti e imprese private.

In un quadro di assenza di controllo e ruolo del comune (e di voluto mancato collegamento tra uffici dello stesso Ente)  si sviluppa il tentativo di area vasta, che alimenta le ulteriori tentazioni di “occupare” gli spazi lasciati liberi dalla incapacità della politica locale .

Non è un caso che metodi di commissariamento di fatto, come già sperimentato anche a Roma, siano anche tentati sul nostro territorio. Non ultima infatti è l’intervista del Prefetto di Pisa che chiede (non sappiamo a quale titolo) servizi di polizia municipale unificati tra i comuni di Pisa e i comuni limitrofi. A prescindere dalla logica di centralismo pseudo autoritario riscontrati in certe iniziative,si intende sopperire alle carenze di organico delle forze dell’ordine per il controllo del territorio aumentando carichi di lavoro e richieste alla polizia municipale.

Ecco a cosa si è voluto si riducessero ruoli e funzioni dei Comuni!

Cobas Pisa

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