Appare alquanto singolare e demagogico il modo e il metodo con il quale si cerca di ricollocare i cosiddetti “precari” delle province (ora ribattezzate enti di area vasta) e città metropolitane. Siamo certi che Renzi stia guardando non tanto ai lavoratori ma al prossimo referendum di riforma costituzionale e abrogativo delle ex province…..
Ma chi sono i cosiddetti “precari”?1) Per la maggior parte, (97%), si tratta di lavoratori dipendenti da cooperative, società o ditte esterne agli stessi enti, società in house del pubblico impiego.
Tutte queste realtà svolgono attività prevalente presso i centri per l’impiego “CPI”, sono strutture accreditate per questo fine specifico , spesso ideate e costituite su impulso della politica locale, con lo zampino di qualche dirigente pubblico di settore legato alla triplice sindacale o al pd.
Il mondo precario all’ombra delle province si è sviluppato sovente con logiche clientelari che hanno impedito a tanti lavoratori e lavoratrici una piena autonomia politica, sindacale e decisionale capace di restituire loro dignità e rappresentanza
Il precariato è stato cosi’ il risultato di processi di esternalizzazione e di appalti che alla fine sono legati a doppio filo con le istituzioni politico sindacali, per questo i lavoratori e le lavoratrici sono in perenne attesa di decisioni dall’alto
Il precariato così assume connotati concertativi che con la rivendicazione conflittuale di diritti, posti di lavoro ha poco a che spartire. Non a caso ,con la soppressione delle province, sono migliaia i posti di lavoro a rischio ma la situazione è tutt’altro che esplosiva, anzi cgil cisl uil tengono tutto sotto controllo anche quando è palese il rischio che la fine di un appalto determinerà licenziamenti.
Ma ovviamente non possiamo fare di ogni erba un fascio , ragione per cui sosterremmo sempre le istanze del precariato che è la prima vittima dello smantellamento delle province. Per noi precari sono i lavoratori degli appalti provinciali, i contratti a tempo determinato….a prescindere da quale sia il loro datore di lavoro
- In un mercato del lavoro in continua evoluzione, con l’avvento del lavoro gratuito ed agile, in provincia e nelle città metropolitane ci troviamo di fronte una forza lavoro eterogenea, divisa e frammentata, con molteplici salari e contratti, dipendente diretta o esternalizzata, in società in house o in cooperativa, una situazione volutamente caotica per dividere lavoratrici e lavoratori, mettere gli uni contro gli altri, far gestire le loro istanze da differenti categorie sindacali..
- migliaia di lavoratori\trici la cui controparte datoriale è terza rispetto agli enti che finanziano queste realtà e, proprio per questo motivo, niente ha in comune con gli enti.
- non si tratta di lavoratori “autonomi”(non potrebbe più esserlo) delle varie forme come, cococo, partite iva etc etc
- non si tratta di personale la cui controparte datoriale è un un ente pubblico.Al capezzale delle province si consuma anche lo scontro generazione tra vecchi lavoratori garantiti (ma da oggi in poi nessuno potrà esserlo nella pubblica amministrazione per quanto ne dica la stampa imbeccata da Renzi e Madia) e giovani degli appalti senza garanzie, scontro creato ad arte per abbattere le tutele indistintamente di tutti\e
- Cosi‘19.800 lavoratori delle ex province vengono considerati in esubero, a cui si aggiungono 4000 lavoratori delle camere di commercio, che rischiano la stessa sorte in virtu’ del mancato turn over, del rifiuto governativo a rimuovere blocchi ai pensionamenti causati dalla Legge previdenziale Fornero. In questo modo la forza lavoro nella Pa italiana è la piu’ vecchia e demotivata d’Europa, a rimetterci sono i giovani che restano disoccupati e i cittadini con servizi peggiori e scadenti ma anche gli stessi lavoratori che vedono allungata la loro vita lavorativa.
- Sarebbero state possibili altre scelte invece di dare pseudo garanzie (“ma poi lo sono realmente ?”) con protocolli di intesa volti a “stabilizzare” 2300 (questi sono i numeri) precari. Ma attenzione: i precari erano anche quelli che avevano 36 mesi di anzianità, ma molti di loro negli anni sono stati espulsi e non riconosciuti nel disprezzo di qualsivoglia prospettiva di stabilizzazione. Quindi quando si parla di precariato nella pubblica amministrazione dovremmo andare a prendere le migliaia di lavoratrici e lavoratori non confermati e mandati a casa nonostante avessero 36 mesi di anzianità di servizio o poco meno. Il tutto con buona pace di quel memorandum che la Cgil Funzione Pubblica presentava come la soluzione del precariato pubblico….
- Demagogico è invece far passare, se l’esecutivo riuscisse a condurre in porto questa operazione, come un risultato del governo del fare, avere dato luogo a 2300 nuove assunzioni, sacrificando i conti pubblici, in piu’ con l’aggravante ingiuriosa di fannulloni: Insomma 19800 + 4000 “esuberi” che subiscono decisioni calate dall’alto, chi sta demolendo la struttura sociale dello stato colpendone o comunque attentando alla nostra costituzione.Siamo convinti invece, che le province e le città metropolitane non potranno essere il salvagente dei precari, ma saranno il cavallo di troia con il quale si andranno a colpire tutti i precari nel nel pubblico impiego:
–il costo del lavoro, (soluzione operata già ai dipendenti in ruolo riducendo il salario accessorio), applicando a questi nuovi assunti il jobs act, (esistono già indicazioni giurisprudenziali che sconfessano la ministra Madia per la quale il jobs non sarà applicato nel pubblico), senza piu le tutele dell’art 18 dello statuto dei lavoratori. Ricordiamo per tutti che nel privato ci sono già le prime vittime del lavoro a “tutele crescenti”;
–Forte riduzione dei diritti delle tutele sindacali, Quanto accade oggi nel privato, presto si verificherà nel pubblico, basti menzionare i provvedimenti disciplinari cumulati fino al licenziamento, strumenti per ridurre al silenzio e all’impotenza lavoratori e lavoratrici, delegati e avanguardie sindacali funzionali . Ricordiamo poi che con l’equo indennizzo, anche al lavoratore pubblico potrà essere negato il reintegro nel proprio posto di lavoro;
– riduzione e compressione dei diritti sociali, ridotto potere d’acquisto e progressiva finanziarizzazione e immissione sui mercati dei servizi e dei beni pubblici, alienazione degli immobili. I beni pubblici saranno messi sul mercato e diventeranno fonte di profitto per pochi con buona pace dei diritti icostituzionali che parlavano di diritti sociali universali . Il patrimonio immobiliare delle Province fa gola a tanti ….
–annichilimento, con la modifica e introduzione “ad arte” di articoli della legge fondante dello stato, con il prossimo referendum costituzionale, numerosi diritti costituzionali saranno cancellati (diritto alla salute e alla istruzione per dirne solo due)
Voi penserete che abbiamo divagato e siamo andati fuori tema? No, perché la stabilizzazione dei “precari” diventa “ strumento”, per ridurre ulteriormente il costo del lavoro in tutti i settori, “e non il modo e il metodo per creare nuova occupazione”, il tutto per seguire i dettamidalla troika, Germania in testa.
La stabilizzazione dei precari è una priorità ma deve riguardare tutti i precari della Pa e necessita della rimozione del turn over ( la legge di stabilità 2016 prevede solo una assunzione su 4 pensionamenti) e di una revisione della Riforma Fornero senza penalizzare chi dovesse andare in pensione con i vecchi requisiti
Il processo avviato condurrà inevitabilmente l’Italia e tutti i paesi UE con livelli di indebitamento simili ad avvitarsi su se stessi in una fase recessiva senza sbocco, perchè lo stato non ha saputo al momento opportuno sfruttare le leve dell’innovazione e della creazione tramite lo sviluppo e investimento di nuovi lavori o di lavoro in generale, anzi ha anche perso il treno degli investimenti in sviluppo e ricerca .
Vediamo la progressiva e crescente espulsione dal mondo del lavoro e dai cicli produttivi di forza lavoro secondo una logica di “fabbrica globale” dove per alcuni paesi UE, Italia in primis, non c’è spazio se non per politiche destinate all’ulteriore incremento del capitale che non ha più risorse da drenare qui e per questo si getta sui servizi finanziarizzati o sulle esternalizzazione.
E per finire i dati sul personale delle province da ricollocare: 2000 mila per il Corriere della Sera, in realtà molti di piu’. Quando il processo di smantellamento delle province sarà a conclusione, i posti di lavoro perduti saranno migliaia e i servizi erogati diminuiti e piu’ scadenti.
Nel frattempo la soppressione delle province, e quella imminente delle Camere, rischiano di essere l’ulteriore strumento di divisione della forza lavoro, con trattamenti economici diversificati per lavoratori e lavoratrici addetti alle stesse mansioni.
Divide et impera, il motto dei latini, è ora la parola d’ordine del giovane Renzi
Cobas Pubblico Impiego Pisa
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