Un torto subito da un lavoratore è un torto fatto a tutti (IWW)

Comumicato Solidarietà a Geraldina Colotti e articolo censurato dal Manifesto

Postato il 27 Luglio 2017 | in Italia, Mondo, Scenari Politico-Sociali | da

Il Manifesto perde una grande firma.
Interrotta la ventennale collaborazione con Geraldina Colotti.

“A tutte e a tutti. Sono in Venezuela, dove le destre si preparano all'”ora zero” per impedire l’Assemblea costituente che porterebbe il paese verso qualcosa di simile allo Stato dei soviet. Metto qui gli articoli che non vedrete più su manifesto e che si possono diffondere e condividere.
Maduro nel mirino della Cia”.

Con queste parole pubblicate nella notte fra il 25 e il 26 luglio sulla sua pagina Facebook, Geraldina Colotti, giornalista, scrittrice e responsabile dell’edizione italiana de Le Monde Diplomatique, comunica con grande rammarico la fine della sua collaborazione con il quotidiano Il Manifesto. “Purtroppo hanno deciso di censurarmi”, scrive la giornalista rispondendo ad uno dei tantissimi messaggi di solidarietà giunti nell’arco di poche ore.
Una decisione, quella presa nei confronti di Geraldina, da vent’anni collaboratrice del giornale, maturata negli ultimi tempi a seguito di divergenze createsi nei riguardi della delicata situazione in Venezuela, che la giornalista racconta, come lei stessa afferma, “documentandosi”. Unica voce fuori dal coro mediatico main stream nazionale che fino ad oggi ha contribuito a contrastare la massiccia opera di disinformazione messa in atto anche da parte del servizio pubblico radiotelevisivo – come già denunciato anche dal GIGA sulle pagine di Pisorno.it-.
A Geraldina, donna forte e indipendente, che da sempre si è presa la responsabilità delle proprie scelte, giornalista rigorosa e illuminante, “voce chiara dell’America Latina”, compagna di lotta ed amica, va la più completa solidarietà del GIGA (Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati), dell’Associazione Italia-Nicaragua di Livorno, della Libera Università Popolare A. Bicchierini e dell’Associazione Pisorno che auspicano anche un ripensamento da parte della dirigenza del “quotidiano comunista”.

Di seguito il testo dell’articolo pubblicato la notte fra il 25 e il 26 luglio.

GERALDINA COLOTTI
CARACAS
“Incontriamoci per evitare la catastrofe”. Dalla cerimonia per la nascita di Simon Bolivar che ha aperto la settimana storico-culturale per i 450 anni di Caracas, il presidente Nicolas Maduro rivolge un appello solenne all’opposizione. Sul palco, i vertici del governo e delle Forze Armate. Gesti, discorsi e messaggi vertono sull’indipendenza e sulla determinazione a difenderla in un momento particolarmente delicato per la Repubblica bolivariana. “Non siamo più ai tempi del colonialismo”, dice ancora Maduro denunciando che “la Cia prepara un golpe in Venezuela con la complicità del Messico e della Colombia” e chiedendo ai due governi latinoamericani di esprimersi in merito. La denuncia si basa sulle dichiarazioni di Mike Pompeo, direttore della Cia, e sugli avvertimenti di Washington in merito a quel che potrebbe accadere durante “72 ore” a Caracas. «Sono stato a Bogotà ed in Messico due settimane fa – ha dichiarato Pompeo durante un forum sulla sicurezza ad Aspen il 20 luglio scorso – e ho evocato il tema di una transizione politica in Venezuela, cercando di aiutarli a capire cosa potrebbero fare per ottenere risultati migliori in questo angolo del mondo».
Poi è arrivata la smentita da Messico e Colombia, ma le parole di Pompeo non vengono prese sottogamba, né in Venezuela né fuori. L’opposizione ha rifiutato in blocco la proposta dell’Assemblea nazionale costituente (Anc) definendola “una prostituente” e ha indetto 48 ore di sciopero generale, minacciando di impedire con la forza ai cittadini di andare a votare. Il Consejo Nacional Electoral (Cne) ha disposto misure di sicurezza per garantire ai cittadini che vivono nei quartieri di opposizione dove più forti sono le violenze (19 chavisti sono stati bruciati vivi dagli oltranzisti) di votare in altri seggi. Per le destre – appoggiate da Trump, dalla “comunità internazionale” e dalle gerarchie ecclesiastiche che temono l’instaurazione “del socialismo cubano” – la via è un’altra: quella di un governo parallelo da avviare a tappe forzate, ad uso e consumo dello scenario internazionale. Per questo, hanno già nominato altri giudici del Tribunal Supremo de Justicia (Tsj), l’istanza deputata all’equilibrio dei 5 poteri di cui si compone la repubblica presidenziale. Il criterio è quello del colore unico, che contraddice apertamente il percorso di nomina “dal basso” vigente in Venezuela. Uno dei magistrati è già stato arrestato, gli altri hanno annunciato che opereranno dalla clandestinità. La Mud (Mesa de la Unidad Demoratica) ha presentato una sorta di programma del “governo di transizione” che ha già suscitato zuffe all’interno della litigiosa coalizione, e ha annunciato che a breve si svolgeranno le primarie per definire il nome del “presidente”.
Il governo ha denunciato all’Onu le minacce di Trump e di Federica Mogherini per la Ue di imporre nuove pesanti sanzioni se Maduro non recede dall’Anc. Oggi e domani, anche il Parlamento italiano, su richiesta del Pd, prende nuovamente posizione a favore del “governo parallelo”. In videoconferenza, i rappresentanti del Parlamento, a maggioranza di opposizione dopo le elezioni del dicembre 2015. Il Pd sostiene “con forza la proposta di mediazione avanzata dal Presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni insieme al premier spagnolo Mariano Rajoy, con le condizioni che tutti gli organismi internazionali considerano irrinunciabili: liberazione immediata dei detenuti politici, apertura di un canale per gli aiuti umanitari, rispetto delle prerogative costituzionali del Parlamento e convocazione di libere elezioni a suffragio universale». Un calendario elettorale è già stato fissato, anche il leader delle destre, Leopoldo Lopez (Voluntad Popular) ha lasciato il carcere per gli arresti domiciliari. Le destre e i loro sostenitori, però, hanno fretta di liberarsi della costituzione bolivariana per tornare alla via neoliberista. Dopo un periodo di impegno in altre aree più turbolenti del pianeta, gli Usa di Trump e dei suoi petrolieri hanno deciso di rimettere la mano sul “cortile di casa”. Il primo obiettivo sono le straordinarie risorse del Venezuela, dal petrolio, all’oro, ma c’è anche un motivo più contingente per Trump: quello di distogliere l’attenzione dai suoi numerosi grattacapi interni, ricompattando “l’unità nazionale” contro “il pericolo rosso”. “Non c’è un’alternativa al dialogo e alla ricerca del consenso. Qualunque alternativa porta a un conflitto grave, molto grave”, ha dichiarato l’ex presidente spagnolo Zapatero, capo dei mediatori tra governo e opposizione. “Non posso essere più esplicito – ha aggiunto Zapatero – ma il dialogo tra le parti è esistito, esiste ed esisterà nonostante tutto quel che sta accadendo”, e il calendario elettorale fissato verrà rispettato.
Il 30 luglio si voterà per l’Assemblea nazionale costituente, proposta da Maduro per rilanciare la pace con giustizia sociale a tre mesi dall’attacco dei gruppi oltranzisti, che hanno provocato già 100 morti e danni per miliardi alle strutture e al territorio. Domani si chiude una campagna elettorale che ha rimesso in moto le energie più feconde della società venezuelana. Candidati e candidate proposte dalla base e non dai partiti hanno presentato le loro proposte per spingere in avanti la democrazia partecipata, colmandone i ritardi, i burocratismi, i passi falsi, e capitalizzandone gli aspetti duraturi. Le proposte riguardano l’economia, l’organizzazione sociale, la giustizia e i diritti sociali – come il matrimonio gay o l’aborto – che non è stato possibile includere nella pur avanzata costituzione del 1999 per la forte opposizione della chiesa cattolica. Lo slogan, che anima motivetti in tutte le salse è questo: “La costituyente sì va”.

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