November 28, 2024
I governi europei, dopo aver assecondato la spregiudicata strategia di Obama dell’allargamento della Nato sino ai confini della Russia, provocando un’escalation della tensione intereuropea come non accadeva dai tempi della Guerra Fredda, si trovano ora in difficoltà di fronte all’empasse di Washington che in questa fase sembra volgere le proprie attenzioni alle complesse questioni mediorientali. I leader europei dovranno cercare di risolvere la crisi ucraina, apparentemente senza la ‘guida’ americana, con i limiti delle divisioni interne e, forse, privi di un preciso disegno strategico. Tuttavia, questo contesto rappresenta probabilmente l’occasione per iniziare ad affrontare le spinose vicende dell’est europeo con una dose di sano pragmatismo geopolitico, abbandonando gli azzardati progetti espansionistici disegnati oltreoceano.
Nell’immediato gli obiettivi primari sembrano rappresentati dall’attivazione di una azione politica e diplomatica finalizzata alla
stabilizzazione della traballante tregua raggiunta il 5 di settembre a Minsk, fra Kiev e i separatisti del Donbass, e alla risoluzione della crisi delle forniture del gas a Kiev che Mosca ha sospeso da giugno, a causa di oltre 5 miliardi di $ di debiti non pagati, mettendo a rischio anche le importazioni dei paesi dell’Ue.
In questa ottica il Vertice Euroasiatico del 15 ottobre di Milano ha fornito l’occasione per riportare ad un tavolo negoziale, dopo il gelo dei mesi scorsi, Putin e Poroshenko insieme ai leader comunitari, per la ripresa delle trattative dirette fra le due controparti. L’accordo raggiunto, il 31 ottobre a Bruxelles, fra Russia e Ucraina con la mediazione della Ue, attraverso il rimborso da parte ucraina di 3,1 miliardi di $ entro la fine dell’anno e la riattivazione delle forniture, forse apre uno spiraglio per una risoluzione definitiva della crisi ucraina in forma pacifica e condivisa. In tale prospettiva, sono confortanti le prime dichiarazioni di Federica Mogherini, appena assunta la carica di Alto Segretario dell’Ue per gli Affari Esteri, con le quali ha definito suo “principale compito personale” la costruzione del dialogo fra Russia e Ucraina e la fine della “guerra delle sanzioni”.
In mancanza dell’intransigente ‘tutela’ di Washington e sospinti da un possibile clima di disgelo la diplomazia comunitaria forse riuscirà a valutare con maggiore attenzione le dichiarazioni rilasciate dall’ex presidente della Commissione Europea Romano Prodi al “Forum Ambrosetti” di Cernobbio ad inizio settembre: “Il conflitto in Ucraina è anche colpa europea per aver sottovalutato la Russia. L’Ucraina non può essere ne’ russa ne’ europea. O ci convinciamo che è un ponte tra l’Europa e la
Russia, o va a finire male.” Prodi ha poi concluso: “L’Ucraina nella Nato non ci deve entrare. Perché non si mettono le dita negli occhi a nessuno”.
La via di uscita dalla crisi non può prescindere dal riconoscimento alla Russia dell’attuale ruolo di potenza mondiale emergente, che a Washington alcuni si ostinano ancora a negare, e dei legami storici, etnico-culturali ed economici che legano Mosca a doppio filo all’Ucraina, o quantomeno, a parte di essa. Non è certamente seguendo gli Usa nello scontro frontale con la Russia, disconoscendole lo ‘status’ geopolitico che ha riconquistato ma, aprendo trattative diplomatiche paritarie fra Kiev, Mosca e Bruxelles, per ricomporre le molteplici linee di frattura, dalla questione delle Repubbliche del Donbass alle forniture energetiche, che attraversano attualmente l’est europeo.
Per il conseguimento di un assetto geopolitico europeo, stabile e condiviso, l’unica strada percorribile passa, probabilmente, attraverso la concessione dell’autonomia delle Repubbliche Popolari di Donestk e di Luhansk, nell’ambito della futura Repubblica Federativa Ucraina, uno stato cuscinetto, fra Ue da unlato e Unione Euorasiatica [1] dall’altro, che non solo consenta di ricomporre le tensioni ma che faciliti le relazioni fra i due blocchi. Potrebbe delinearsi in tal modo un nuovo equilibrio geopolitico che riporterebbe l’Ucraina a rivestire, seppur con funzioni diverse, il ruolo che fu’ della Finlandia ai tempi
della Guerra Fredda. Non un’anacronistica funzione di separazione di sfere di influenza, bensì quella di futuro ‘stato ponte’ fra est e ovest europeo; due aree legate da profonde relazioni storiche e, oggi, da un forte interscambio finanziario e commerciale che fa perno su risorse energetiche e minerarie, da un lato, e su tecnologia e l’ingegno creativo, dall’altro.
Lontano dalle pressioni statunitensi gli europei, nel loro insieme, sono in grado di trovare una soluzione che, non solo allontani gli spettri della guerra ma, che garantisca anche la ripresa del processo di cooperazione politica e di integrazione economica, già avviato da quasi un ventennio, fra la parte occidentale e quella orientale del Vecchio Continente.
Il problema di fondo è che questa prospettiva non coincide con le strategie di Washington di espansione della propria sfera di influenza tramite l’ampliamento della Nato e l’entrata in vigore del TTIP, il Partenariato Transatlantico sul Commercio e sugli Investimenti, sul quale qualche resistenza inizia a manifestarla anche il governo tedesco.
————————————————————————
[1] Il progetto di integrazione post sovietico inizia con la nascita dell’Unione doganale nel 2010 e dello Spazio economico comune nel 2012: uno mirato alla graduale eliminazione degli ostacoli doganali, l’altro volto a creare uno spazio di libera circolazione delle persone, merci e servizi.
http://www.ispionline.it/it/articoli/articolo/russia-eurasia-europa/le-direttrici-della-politica-estera-russa-11275
Il primo gennaio 2015, entrerà in vigore il Trattato che istituisce l’Unione economica euroasiatica. Essa prenderà il via nella forma di quattro Stati: Russia, Bielorussia, Kazakistan e Armenia
http://italian.ruvr.ru/2014_10_31/279473519/
Lascia un commento