November 29, 2024
Deve essere chiaro dove vuole andare l’Unione europea, ha chiesto Renzi. Sfondando un uscio aperto: la direzione da seguire è già stata decisa, prima che a Bruxelles, a Washington. Gli accordi di associazione e libero scambio con la Ue, firmati ieri da Ucraina, Georgia e Moldavia, hanno non solo una valenza economica, ma politica e strategica.
L’abolizione dei dazi e altre misure di «liberalizzazione», previste dagli accordi, metteranno queste economie – soprattutto l’ucraina, di gran lunga la più importante – nelle mani delle multinazionali non solo europee, ma statunitensi. L’Ucraina cederà il 49% della proprietà dei gasdotti e dei depositi sotterranei di gas a compagnie statunitensi (soprattutto ExxonMobil e Chevron) ed europee, che di fatto ne avranno il pieno controllo.
Allo stesso tempo, la prevista «modernizzazione» dell’agricoltura ucraina permetterà soprattutto alle statunitensi Cargill e Monsanto, da tempo già penetrate nel paese, di impadronirsi di quello che un tempo era chiamato, per la fertilità delle sue terre, «il granaio dell’Urss». È un settore di primaria importanza: l’agricoltura ucraina, la cui produzione è aumentata come valore di circa il 14% nel 2013, fornisce il 10% del pil e il 25% dell’export.
Il controllo della rete di gasdotti e dell’agricoltura ucraine fornirà, soprattutto a Stati uniti e Germania, un potente strumento di pressione sulla Russia. Essa dipende in gran parte dai corridoi energetici ucraini per esportare gas nella Ue ed assorbe oltre un quarto delle esportazioni ucraine, soprattutto agricole. Lo strumento economico è funzionale alla strategia annunciata dal G7 che, svoltosi a Bruxelles prima del Consiglio europeo, ha fatto propria la linea di Washington. Dopo aver annunciato un programma del Fmi da 17 miliardi di dollari per l’Ucraina, più altri 18 investiti dai Sette per impadronirsi della sua intera economia, il G7 «condanna la Federazione Russa per la sua continua violazione della sovranità dell’Ucraina». Formula fatta propria dal Consiglio Ue il 23 giugno.
Tutto ciò spiana la strada all’ulteriore espansione della Nato fin dentro il territorio dell’ex Urss. Non va dimenticato che Ucraina, Georgia e Moldavia erano repubbliche sovietiche e che l’attacco dell’esercito georgiano all’Ossezia del sud, nel 2008, rientrava sicuramente nella strategia Usa/Nato. Non va dimenticato che già 23 dei 28 paesi della Ue sono oggi, allo stesso tempo, membri della Nato: di conseguenza le decisioni prese nell’Alleanza, sotto indiscussa leadership statunitense, determinano gli indirizzi dell’Unione europea.
In tale situazione l’Italia fa la parte del vaso di coccio. Sia perché l’associazione dell’Ucraina all’area Ue di libero scambio permetterà alle multinazionali statunitensi ed europee di controllare – siamo al paradosso del «liberismo» – attraverso l’immissione dei prodotti ucraini, il mercato agricolo italiano, già in grave difficoltà economica e sociale. E mentre di fatto gli Stati uniti attuano un rigoroso protezionismo nazionale sulla loro produzione agricola.
Ma soprattutto per la questione centrale delle fonti di energia. Basti pensare che sotto pressione degli Stati uniti, la Bulgaria ha bloccato da poche settimane il gasdotto South Stream, la pipeline strategica che dovrebbe trasportare il gas russo nell’Unione europea senza passare per l’Ucraina. Questo tentativo statunitense (sostenuto dal presidente della Commissione europea) rischia di far perdere all’Italia contratti per miliardi di euro, tra cui uno da 2 miliardi che la Saipem (Eni) si è appena aggiudicata.
Sulla stampa internazionale vi sono voci insistenti (smentite da Palazzo Chigi) che l’Italia voglia «congelare» il progetto, nato da un accordo italo-russo (firmato nel 2007 da Pierluigi Bersani, in veste di ministro per lo sviluppo economico). Nel progetto, il terminale del South Stream è previsto a Tarvisio (Udine), che funzionerebbe da hub per lo smistamento del gas anche in altri paesi. Ora però la russa Gazprom e l’austriaca Omv hanno firmato un accordo che prevede il prolungamento del gasdotto fino in Austria, che potrebbe sostituire l’Italia come hub.
Su questo sfondo il premier Renzi, prima di chiarire dove vuole andare l’Unione europea, chiarisca dove vuole andare l’Italia. In altre parole, se vuole restare o no sulla scia della strategia Usa/Nato che sta portando l’Europa a un altro pericoloso e costoso confronto Ovest-Est.
(tratto da Il Manifesto, 28 giugno 2014)
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