November 23, 2024
Nella compilazione del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) il datore di lavoro deve tenere conto di tutti i pericoli connessi alla tipologia di lavoro svolta dai propri dipendenti, non solo quelli attuali. In difetto, si incorrerà nella violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro (Cassazione Penale, Sezione III, sentenza n. 36538 del 27 settembre 2022,).
Un individuo affrontava un processo penale dopo aver proposto opposizione avverso un decreto penale di condanna emesso nei suoi confronti per violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro per non aver elaborato un congruo DVR in relazione al proprio studio odontoiatrico.
In particolare, veniva contestato all’imputato di aver omesso di valutare i rischi per la sicurezza e la salute delle lavoratrici, con specifico riferimento ai rischi di esposizione, per le donne in stato di gravidanza, ad agenti fisici, chimici o biologici, processi o condizioni di lavoro di cui all’allegato C del D.Lgs. 151/01.
All’esito del giudizio, il predetto veniva ritenuto responsabile della violazione contestatagli e condannato alla pena dell’ammenda prevista per il reato di cui all’articolo 55, comma 4 del D.Lgs. 81/08.
Avverso la sentenza emessa dal Tribunale l’imputato, tramite il proprio difensore, proponeva ricorso per Cassazione lamentando il vizio di violazione di legge.
Nello specifico, secondo la tesi difensiva il giudice avrebbe omesso di considerare che, poiché lo studio del ricorrente occupava un’unica lavoratrice ed il rischio di esposizione ad agenti chimici e biologici era altresì basso, la valutazione dei rischi e l’individuazione delle misure di prevenzione e di protezione potevano essere effettuate secondo le procedure standardizzate ai sensi dell’articolo 6, comma 8, lettera f) del D.Lgs. 81/08 e in conformità del Decreto Interministeriale del 30 novembre 2012 in relazione ad aziende che impiegano fino a dieci dipendenti.
Inoltre, alla luce delle risultanze istruttorie acquisite in giudizio, era stato acclarato che nello studio dell’imputato non erano presenti lavoratrici in età fertile e che, comunque, il DVR conteneva indicazioni sulle eventuali misure da adottare al riguardo.
Da ultimo, il ricorrente si doleva del fatto che non fosse stato tenuto in considerazione un condivisibile precedente di merito che, in un caso identico, aveva escluso la sussistenza della penale responsabilità del soggetto tratto a giudizio.
La Suprema Corte rigetta il ricorso dichiarandolo infondato.
La Corte adita sottolinea che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro ha l’obbligo giuridico di analizzare e individuare tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda.
Anche in ipotesi, come quella in esame, in cui si abbia a che fare con imprese con meno di dieci dipendenti, per le quali le modalità di valutazione rischi e di redazione del DVR sono semplificate ai sensi dell’articolo 6, comma 8, lettera f) del D.Lgs. 81/08, è necessario procedere alla individuazione degli specifici pericoli cui i lavoratori siano sottoposti, precisando di conseguenza le misure di prevenzione da adottarsi.
Nel novero di tali specifici pericoli vanno ricompresi anche i rischi ipotetici, purché si tratti di rischi concreti e non meramente astratti.
Invero, al fine di meglio precisare l’oggetto del dovere di analizzare “tutti i fattori di pericolo concretamente presenti in azienda”, l’articolo 1, comma 1 del D.Lgs. 151/01 (Decreto espressamente richiamato dall’articolo 28, comma 1, del D.Lgs. 81/08) prevede che tale dovere si concreti altresì nell’obbligo di valutazione, con riferimento ai rischi per la sicurezza e la salute delle lavoratrici in stato di gravidanza, dei rischi di esposizione ad agenti fisici, chimici o biologici, processi o condizioni di lavoro di cui all’allegato C del medesimo testo normativo.
Il fatto che tali rischi non siano attuali, ove non vi siano tra il personale donne in stato gravidanza, non esime il datore di lavoro dalla valutazione imposta dall’articolo 11 del D.Lgs. 151/01, dovendo egli comunque compilare il DVR considerando tutti i rischi concreti ancorché ipotetici e le misure di prevenzione da adottarsi nel caso di gravidanza, non potendosi escludere che vengano nel futuro impiegate lavoratrici che si trovino in stato interessante.
La Suprema Corte precisa altresì che non è consentito derogare alla previsione di legge adducendo una presunta infertilità del personale dipendente dovuta all’età, giacché le misure per la tutela della sicurezza e della salute delle lavoratrici durante il periodo di gravidanza sono previste altresì fino a sette mesi di età del figlio, anche a tutela delle lavoratrici che hanno ricevuto bambini in adozione o in affidamento, fino al compimento dei sette mesi di età.
La Corte di Cassazione evidenzia altresì che il precedente richiamato nei motivi di gravame non fosse pertinente, essendo riferito al diverso reato di violazione degli obblighi di informazione dei lavoratori sui rischi da radiazioni ionizzanti.
Fatta questa premessa, la Corte di legittimità osserva che la sentenza impugnata ha correttamente affermato che una adeguata valutazione del rischio deve analizzare il pericolo connesso alle lavorazioni o all’ambiente di lavoro non solo in modo generico, ma in relazione alla concreta situazione dell’impresa ed alla casistica effettivamente verificabile, e ha ritenuto che il DVR adottato dal ricorrente non rispettasse detto principio di specificità, così violando quantomeno l’articolo 28, comma 2, lettera a) del D.Lgs. 81/08.
In particolare, considerato che l’imputato era titolare di uno studio odontoiatrico e aveva alle proprie dipendenze una donna con mansioni di assistenza clienti, la sentenza impugnata aveva affermato, con valutazione di merito non censurabile avanti ai giudici di legittimità, che con riguardo alle lavoratrici in stato di gravidanza il DVR contenesse valutazioni del tutto generiche e prevedesse misure di sicurezza inidonee a soddisfare l’esigenza di tutela delle medesime, sicché il giudice di merito ha concluso per la: “incompletezza del documento […] non contenente la valutazione di tutti i rischi specifici […] redatto in maniera “standardizzata” (un fac simile per più usi), tale da non svolgere, in alcuna misura, la funzione di spiegare i rischi specifici del lavoro e gli strumenti disposti per evitare che si possano realizzare”.
Da ultimo, la Suprema Corte rileva come sia del tutto generica l’allegazione circa il fatto che sarebbero state seguite le procedure standardizzate previste dal Decreto Interministeriale 30/12.
Infatti, lo schema allegato al citato Decreto Interministeriale mira a semplificare la procedura di valutazione dei rischi nelle aziende che occupano sino a dieci dipendenti, ma non fa certo venir meno l’esigenza di specificità del documento di valutazione dei rischi: basti considerare come lo schema allegato al Passo n. 1 richieda la descrizione dell’azienda, del ciclo lavorativo e delle attività e mansioni svolte dai lavoratori; al Passo n. 2 preveda l’individuazione dei pericoli presenti in azienda; al Passo n. 3 postuli la valutazione dei rischi associati ai pericoli individuati e la identificazione delle misure di prevenzione e protezione attuate con particolare riguardo alle mansioni ricoperte dalle persone esposte e degli ambienti di lavoro interessati in relazione ai pericoli individuati.
Per tutte queste ragioni la Corte di Cassazione ha dichiarato infondato il ricorso.
In allegato la sentenza della Cassazione:
22 10 08 Cassazione Penale 36538 22
Tratto dalla Mailing List Sicurezza sul Lavoro
Lascia un commento