Un torto subito da un lavoratore è un torto fatto a tutti (IWW)

Il peso massimo sollevabile

Postato il 28 Maggio 2014 | in Sicurezza sul lavoro | da

A PROPOSITO DI SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO
IL PESO MASSIMO SOLLEVABILE

Il Decreto non definisce un valore limite per il peso da sollevare, ma rimanda a specifica valutazione del rischio per individuare il fattore di rischio nelle attività di sollevamento. Tale valutazione deve essere condotta facendo riferimento a precise norme tecniche.

In particolare il Decreto individua nella famiglia delle norme ISO 11228 le norme tecniche di riferimento.

A tale proposito l’articolo 168, comma 2 del Decreto impone a datore di lavoro e dirigenti che (obbligo sanzionabile):

“Qualora non sia possibile evitare la movimentazione manuale dei carichi ad opera dei lavoratori, il datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie, ricorre ai mezzi appropriati e fornisce ai lavoratori stessi i mezzi adeguati, allo scopo di ridurre il rischio che comporta la movimentazione manuale di detti carichi, tenendo conto dell’allegato XXXIII”.

Per quanto riguarda poi le norme tecniche da seguire nel processo di valutazione e riduzione dei rischi da movimentazione manuale dei carichi, l’articolo 168, comma 3 stabilisce che:

“Le norme tecniche costituiscono criteri di riferimento per le finalità del presente articolo e dell’allegato XXXIII, ove applicabili”.

A sua volta l’allegato XXXIII specifica che:

“Le norme tecniche della serie ISO 11228 (parti 1-2-3) relative alle attività di movimentazione manuale (sollevamento, trasporto, traino, spinta, movimentazione di carichi leggeri ad alta frequenza) sono da considerarsi tra quelle previste all’articolo 168, comma 3”.

nel caso di sollevamento di carichi pesanti si applica la norma ISO11228-1:2003 “Ergonomia – movimentazione manuale – Parte 1: Sollevamento e trasporto”.

Tale norma non parla di una massa (o peso) massimo sollevabile, ma di una massa di riferimento, che è la massima massa sollevabile in condizioni ergonomiche ottimali, senza provocare un rischio per la salute del lavoratore. La massa (o peso) massimo sollevabile è in realtà minore perché subentrano considerazioni sulla mancanza di ergonomia delle operazioni di sollevamento.

In ogni caso la norma ISO11228-1:2003, definisce nell’allegato C una massa di riferimento con una tabella che tiene conto della differenza di sesso.

In tale tabella la massa sollevabile, in condizioni ergonomiche ottimali, senza particolari controindicazioni dal 90-95% della popolazione lavorativa, risulta essere di 15 kg per le femmine sane adulte e di 25 kg per i maschi sani adulti.

In maniera del tutto analoga viene definita un limite per la massa di riferimento pari a 15 kg per le donne e pari a 25 kg per gli uomini da un’altra norma di riferimento, la UNI EN 1005-2:2009 “Sicurezza del macchinario – Prestazione fisica umana – Parte 2: Movimentazione manuale di macchinario e di parti componenti il macchinario”.

In conclusione si può ritenere che la massa (o il peso) massima sollevabile in condizioni ergonomiche ottimali, senza comportare rischio per la salute, sia di 15 kg per una donna adulta senza patologie pregresse e di 25 kg per un uomo adulto senza patologie pregresse.

In condizioni ergonomiche disagevoli (braccia protese in avanti, torsione del busto, mani sopra la testa) tale valore deve essere diminuito, secondo un algoritmo di calcolo specificato dalle norme di riferimento.

Tale valore deve essere specificato nel documento di valutazione del rischio dell’azienda, relativo alla movimentazione manuale dei carichi.

In ogni caso un carico pesante 38 kg, comporta un livello di rischio elevato già in condizioni ergonomiche ottimali e quindi nelle reali condizioni di movimentazione il fattore di rischio sarà ancora più grave

GIUDIZIO DI IDONEITA’ ALLA MANSIONE

Il medico competente, sulla base degli accertamenti eseguiti nell’ambito della sorveglianza sanitaria (visite mediche, radiografie, TAC, ecc.) deve esprimere un giudizio di idoneità, di idoneità con prescrizioni o limitazioni oppure di non idoneità alla mansione, ai sensi dell’articolo 41, comma 6 del D.Lgs.81/08, che stabilisce che:

“Il medico competente, sulla base delle risultanze delle visite mediche […], esprime uno dei seguenti giudizi relativi alla mansione specifica:

a) idoneità;

b) idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni;

c) inidoneità temporanea;

d) inidoneità permanente”.

Ai sensi del comma 6-bis del medesimo articolo:

“Nei casi di cui alle lettere a), b), c) e d) del comma 6 il medico competente esprime il proprio giudizio per iscritto dando copia del giudizio medesimo al lavoratore e al datore di lavoro”.

Pertanto il giudizio del medico competente in generale e in particolare nel caso di non idoneità totale o parziale, temporanea o permanente, deve essere espresso in maniera formale, mediante atto scritto e firmato dal medico competente e, per ricevuta, dal datore di lavoro e dal lavoratore a cui è relativo il giudizio.

Il lavoratore può fare ricorso all’autorità competente (ASL) in merito al giudizio espresso dal medico competente, come previsto dall’articolo 41, comma 9:

“Avverso i giudizi del medico competente, ivi compresi quelli formulati in fase preassuntiva, è ammesso ricorso, entro trenta giorni dalla data di comunicazione del giudizio medesimo, all’organo di vigilanza territorialmente competente che dispone, dopo eventuali ulteriori accertamenti, la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso”.

In caso di non idoneità del lavoratore alla mansione, sussiste per il datore di lavoro l’obbligo di cui all’articolo 42 del D.Lgs.81/08 che impone che:

“Il datore di lavoro […] in relazione ai giudizi di cui all’articolo 41, comma 6, attua le misure indicate dal medico competente e qualora le stesse prevedano un’inidoneità alla mansione specifica adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori, garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza”.

Pertanto, sulla base del giudizio del medico competente e nel caso di non idoneità del lavoratore alla mansione specifica, il datore di lavoro deve adibire il lavoratore ad altra mansione per la quale non sussistano i rischi per la salute relativamente ai quali il medico competente ha espresso il suo giudizio.

In caso di demansionamento, a seguito di quanto disposto dal datore di lavoro in merito al giudizio del medico competente, il lavoratore mantiene lo stesso inquadramento contributivo.

Tutto quanto sopra è però garantito al lavoratore soltanto “ove possibile” (vedi inciso dell’articolo 42 del D.Lgs.81/08).

Pertanto, ove non possibile, il datore di lavoro deve imporre al lavoratore le prescrizioni stabilite dal medico competente, anche se queste comportano una riduzione dell’orario di lavoro o, nei casi estremi, il licenziamento per giusta causa (la sopravvenuta non idoneità alla mansione).

Come sopra detto, il lavoratore può fare ricorso alla ASL relativamente al giudizio di non idoneità stabilito dal medico competente e può fare ricorso al Giudice del lavoro (ma questo non è previsto dal D.Lgs.81/08) in merito alla possibilità o meno di essere ricollocato in altra mansione priva di rischi per la propria salute.

Inoltre, se la patologia che determina la non idoneità alla mansione, deriva da situazioni di rischio relativi alla mansione stessa, il medico competente deve effettuare denuncia di malattia professionale, ai sensi dell’articolo 139, del Decreto 30 giugno 1965, n.1124 “Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”:

“E’ obbligatorio per ogni medico, che ne riconosca l’esistenza, la denuncia delle malattie professionali, che saranno indicate in un elenco da approvarsi con decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale di concerto con quello per la sanità, sentito il Consiglio superiore di sanità.

La denuncia deve essere fatta all’ispettorato del lavoro competente per territorio, il quale ne trasmette copia all’Ufficio del medico provinciale”.

A seguito delle modifiche introdotto dall’articolo 10, comma 3 del Decreto Legislativo 23 febbraio 2000, n.38 “Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, a norma dell’articolo 55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144”, attualmente:

“La trasmissione della copia della denuncia di cui all’articolo 139, comma 2, del testo unico e successive modificazioni e integrazioni, è effettuata, oltre che alla Azienda Sanitaria Locale, anche alla sede dell’istituto assicuratore competente per territorio”.

Se al lavoratore viene riconosciuta dall’INAIL la malattia professionale, a seguito di denuncia del medico competente, egli ha diritto nei casi previsti dalla legge, al relativo trattamento previdenziale e/o al risarcimento dei danni subiti

Marco Spezia
Igegnere e tecnico della sicurezza

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