November 28, 2024
Non poteva aprirsi meglio il 2015 per quell’Italia che basa sulle missioni militari «il suo rinnovato prestigio» (come sostenuto dal presidente Napolitano).
«Grande apprezzamento» per l’impegno italiano sui vari fronti di guerra è stato espresso nientemeno che dal generale Martin Dempsey, la massima autorità militare Usa, negli incontri con il capo di stato maggiore della Difesa, ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, e con il ministro della Difesa Roberta Pinotti.
Subito dopo l’ammiraglio Mantelli ha preso parte a Bruxelles agli incontri tra i capi di stato maggiore della Difesa dei 28 paesi Nato, incentrati sulle «situazioni di crisi nei fianchi est e sud dell’Alleanza», sul «futuro della missione Resolute Support in Afghanistan» e sulla messa a punto del «Readiness Action Plan per garantire le capacità di risposta rapida e determinata alle nuove minacce alla sicurezza dell’Alleanza». L’impegno dell’Italia è a tutto campo.
Sul «fianco est», cacciabombardieri italiani Eurofighter 2000 Typhoon (gli stessi usati nella guerra Nato contro la Iugoslavia), sono stati schierati in Lituania, da dove hanno effettuato la loro prima missione intercettando un aereo russo che volava sul Baltico.
Sul «fianco sud», dopo aver partecipato alla guerra Nato contro la Libia, l’Italia partecipa all’intervento militare in Siria, effettuato dalla coalizione internazionale a guida Usa, e a quello in Iraq dove, nel quadro della stessa coalizione, ha inviato aerei, droni, armi e istruttori.
Sempre più presente l’Italia anche nel Golfo persico, in particolare attraverso la partnership militare con il Qatar e il Kuwait, i cui piloti vengono addestrati a Galatina dall’aeronautica italiana. Navi militari italiane partecipano a tutte le operazioni Nato, dal Mediterraneo (per «garantire la sicurezza») all’Oceano Indiano (per «la caccia ai pirati»).
Sempre sul «fianco sud», l’Italia si è spinta in profondità nell’Africa subsahariana, partecipando all’esercitazione Flintlock 2015, organizzata dalle Forze speciali del Comando Africa degli Stati uniti, che inizierà in Ciad il 16 febbraio, estendendosi a Niger, Nigeria e Camerun e, a nord, fino in Tunisia.
In Afghanistan, dove la missione Nato «Isaf» è stata trasformata in missione Nato «Resolute Support», l’Italia continuerà a operare militarmente con aerei da trasporto C-130 J e da guerra elettronica EC-27 della 46a Brigata aerea di Pisa, velivoli a pilotaggio remoto Predator del 32° stormo di Amendola e, ancor più di prima, con forze speciali, oggi potenziate dalla nascita del comando unificato a Pisa.
L’Italia partecipa allo stesso tempo al «Readiness Action Plan», che potenzia la capacità Nato di proiettare forze militari sia verso est (con la motivazione della «minaccia russa») che verso sud (con la motivazione della «guerra al terrorismo», alimentato dalla stessa Nato). In tale quadro, le basi Usa/Nato in Italia svolgono un ruolo di fondamentale importanza.
Tutto ciò comporta per l’Italia una crescente spesa militare, diretta e indiretta. Secondo la Nato, essa ammonta oggi in media a 52 milioni di euro al giorno, secondo il Sipri a 72 milioni che, in base all’impegno assunto dall’Italia di portarla al 2% del pil, dovranno salire a quasi 100 milioni al giorno. Per assicurare non la difesa dell’Italia, ma la sua partecipazione a una strategia aggressiva.
Dato che la speranza è l’ultima a morire, non resta che sperare che il concetto di prestigio nazionale del nuovo Presidente della Repubblica si basi non sulla guerra, ma sul ripudio della guerra come sancisce la nostra Costituzione.
(tratto da Il Manifesto, 3 febbraio 2015)
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