December 22, 2024
Nel momento in cui i governi centrali cercano di ridisegnare dall’ alto l’ordinamento complessivo degli Enti Locali contraendone gli spazi di autonomia operativa sono sempre meno chiari i rapporti di lavoro pubblico.
Da una parte diminuiscono le risorse finanziarie e la reale possibilità di spesa a causa dei tetti imposti dalle leggi di stabilità, dall’altra le forme aggregative fra enti ( unioni, fusioni,..) aumentano ruoli e posti di rappresentanza non elettiva e il personale si trova in condizioni di debolezza, con minori tutele e diritti, visto che l’aggiramento dei patti di stabilità non porta benefici alla forza lavoro.
Solo un decennio fa certe situazioni erano circoscritte ad accordi di programma o convenzioni con cui due o più Enti concordavano sull’ opportunità di gestire insieme, (operativamente e organizzativamente) alcune attività socializzando le loro risorse umane, strumentali e finanziarie per conseguire l’ interesse pubblico connesso all’ erogazione di alcuni servizi. Per queste esigenze era evidente il ricorso a rapporti di lavoro in “comando”, al fine di separare l’ aspetto giuridico del rapporto da quello funzionale operativo che si instaurava con l’ Ente utilizzatore.
Nei casi più complessi, e con servizi per i quali le economie di scala consigliavano sotto il profilo dell’ economicità e dell’ efficacia complessiva gestioni stabilmente associate, si costituivano consorzi pubblici, come enti strumentali preposti ad erogare servizi. Questo fino a che la legge finanziaria del 2010 non ha inopinatamente vietato la costituzione di consorzi fra Enti Locali, incentivando in tal modo il ricorso generalizzato al trasferimento di compiti a forme di gestioni associate all’ interno delle Unioni dei Comuni, e a cui il DDL Delrio, una volta divenuto legge, fornirà purtroppo ulteriore spinta.
Questa dinamica occupazionale indotta dalle scelte di gestione dei servizi pubblici ha determinato il “comando” di moltissime unità di personale, e gli Enti Locali non sempre sono riusciti ad effettuare una chiara programmazione finanziaria e organizzativa per rendere reversibili i processi, anche nel caso in cui si siano consolidati in trasferimenti definitivi.
Ma quanti sono i lavoratori degli enti locali in comando e senza reale possibilità di reintegro?
E’ difficile dirlo, sono migliaia i dipendenti pubblici che continuano ad “occupare” un posto in pianta organica negli enti dove non potranno più riprendere servizio.
Questo è esemplificativo di una situazione caotica e deregolata, per cui solo alcune Sezioni della Corte dei Conti hanno avuto il coraggio di dire cio’ che i sindaci negano ossia : “Il trasferimento di funzioni e di personale dai singoli comuni alle unioni non è espressamente disciplinato dalla legge per quanto riguarda il regime vincolistico diretto al contenimento della spesa di personale”.
Ma se sommiamo la spesa di personale dei singoli comuni e dell’unione dei comuni sorge spontaneo un dubbio: conveniva mantenere i servizi nelle loro sedi originarie e stabilire tra comuni una “collaborazione” piuttosto che favorire unioni e fusioni che stanno incrementando solo la spesa del personale apicale (dirigenti, funzionari p.o. ) compensata esternalizzando gradualmente ruoli e funzioni prettamente esecutive?
Se l’ unione deve rispettare alcuni vincoli sulla spesa di personale ad essa trasferito, anche se non è un ente sottoposto al patto di stabilità, e questa spesa va “ridistribuita” (con idonei criteri) sui comuni che ne fanno parte, in che modo i Comuni considerano le quote erogate all’ Unione per le funzioni e servizi svolte? Come semplice prestazione di servizi o considerano anche la quota relativa al costo del personale dell’ Unione nel calcolo del rapporto spesa del personale/spesa corrente, in prospettiva di un sempre possibile ritorno delle funzioni al Comune?
L’ impressione è che i diversi attori, Unioni e Comuni, vivano sull’ equivoco di artifici contabili e procedurali nascondendosi dietro a formalismi.
Le Unioni infatti all’ atto del trasferimento del personale per mobilità dagli Enti tentano di tutelarsi scaricando ogni obbligo in merito sui comuni ( soppressione dei posti nella dotazione organica e obbligo di tener conto del costo del personale trasferito ai fini del rispetto dei vincoli di bilancio).
I comuni invece hanno interesse a considerare, ai fini dei vincoli di Bilancio relativi al rispetto del rapporto spesa del personale/spesa corrente, solo i costi del proprio personale, e non già anche quelli del personale trasferito che potrebbe rientrare in caso di uscita dall’ Unione con riappropriazione di funzioni e servizi da parte dei comuni, o di scioglimento dell’ Unione stessa.
In pratica quanto sta accadendo in diverse situazioni determinerebbe l’ impossibilità di rientro dei dipendenti comunali, perchè nel frattempo i Comuni hanno eliminato le loro funzioni dalla dotazione organica.
Se a ciò si aggiunge il fatto che le Unioni hanno operato nuove assunzioni, risulta evidente quindi il perverso meccanismo che si è costruito che è tale da impedire effettivamente il reintegro nel Comune, e comunque la garanzia di mantenere inalterato, perché “reversibile”, il rapporto di lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro pubblico.
Infatti sarebbe interessante avere certezze su cosa accadrebbe, in caso di recesso o scioglimento dell’ Unione, al personale assunto direttamente dalla stessa al di fuori dei processi di trasferimento/comando dai comuni aderenti.
Emblematico è stato il caso del recesso dall’ Unione Valdera del Comune di Crespina. L’ Unione è stata costretta ad inserire una specifica deroga del proprio statuto per disapplicare una propria norma statutaria che prevedeva l’ obbligo che il personale comandato o trasferito dal Comune di Crespina tornasse nella dotazione organica di tale Comune.
Gli effetti che si sono prodotti di fatto sono evidenti:
Dietro a questo ultimo comportamento non si cela la mutua solidarietà fra Enti, ma solo la spregiudicatezza politica di chi pensa di decidere sulla pelle del personale a prescindere dalle conseguenze.
In ogni caso, a fronte della attuale situazione, non sussistono certezze per il personale trasferito alle Unioni, soprattutto a causa di “vuoti“ normativi nel regime vincolistico diretto al contenimento della spesa di personale.
Questo dà origine ad un quadro alquanto indefinito, che non offre tutte le garanzie sotto il profilo delle tutele per il mantenimento, senza soluzioni di continuità, di un rapporto di lavoro pubblico in caso di scioglimento dell’ Unione o di recesso di Comuni da questa, e tali da determinare modifiche degli assetti organizzativi di funzioni e attività trasferite.
Valgano a dimostrazione di quanto sopra i casi di società in house o partecipate dai Comuni, ove si applica già il regime vincolistico diretto al contenimento della spesa del personale.
Orbene anche in quelle situazioni la possibilità di reinternalizzare servizi presenta insormontabili ostacoli, costruiti ad arte per continuare sulla strada delle esternalizzazioni anche quando risultano non convenienti per le casse e il complesso dei servizi erogati.
Poco importa se al confronto la reinternalizzazione risulti conveniente, perché ciò viene impedito da regole dettate e costruite appositamente per stroncare sul nascere ogni politica innovativa che rimetta in discussione le privatizzazioni e che, senza inseguire le sirene del patto di stabilità, dimostri che la gestione diretta è migliore se condotta con scrupolo. E’ infatti il solo modo che consente un reale controllo dei processi lavorativi, se tale forma gestionale non viene abbandonata al proprio destino o soffocata dalla dilatazione ingiustificata di costi derivanti dal peso eccessivo dei costi della struttura dirigenziale di vertice o di staff dei CdA.
In sintesi le incertezze normative in materia di vincoli di bilancio in ordine alla spesa, producono altrettante incertezze in ordine al controllo della stessa e finiscono per produrre conseguenze negative sul personale per quanto attiene il mantenimento del rapporto di lavoro pubblico alle dirette dipendenze di Enti pubblici.
Sono ormai molti i tentativi messi in atto sul territorio di procedere al rispetto dei vincoli di bilancio addirittura attraverso le privatizzazioni di ruoli operativi, esecutivi, e ausiliari , per trasformare tali costi, sotto il profilo tecnico contabile, in prestazioni di servizi e non più in spesa del personale.
E allora anziché costituire le Unioni non era preferibile consolidare i rapporti in “convenzione” fra i comuni, che non avrebbero dato luogo alle incertezze per il personale trasferito?
Paradossalmente un comando del personale a tempo indefinito all’ Unione avrebbe meglio tutelato lo stesso. E allora l’ Unione a chi giova?
A chi vuole più potere e meno democrazia! In sostanza a chi cerca nuove poltrone e ruoli ovvero a Sindaci, Amministratori locali, Dirigenti e Posizioni Organizzative!
COBAS PUBBLICO IMPIEGO
Lascia un commento