December 21, 2024
«L’Italia non può perdere il controllo di Telecom». L’ultimo grido d’allarme, lanciato dal presidente della commissione Industria del Senato (ed ex giornalista) Massimo Mucchetti nel vuoto generale della politica e delle istituzioni, rischia di essere arrivato tardi. Con Telefonica ormai ad un passo dal conquistare il pieno dominio sul gruppo delle telecomunicazioni italiane, la partita sembra ormai decisa. È l’epilogo, a meno di nuovi colpi di scena, di una trasformazione iniziata nel ’96 con la fusione di tutte le società telefoniche di Stato in una sola grande azienda, Telecom Italia per l’appunto, e della privatizzazione che nel 1997 consegna il gruppo, controllato dallo Stato attraverso l’Iri, ad un «nocciolo duro» di azionisti con appena il 6,6% del capitale, guidato dalla famiglia Agnelli affiancata da Generali ed altri protagonisti del «salotto buono».
Fu una scelta contrastata sin dall’inizio e avversata da Guido Rossi che, chiamato come presidente a governare il riassetto della telefonia, si batté per un modello diverso da quello che il governo di Romano Prodi (con Carlo Azeglio Ciampi al Tesoro) poi adottò. Rossi pensava ad una public company, azionariato diffuso per la più classica delle utility, e perse la partita.
A distanza di oltre 15 anni da allora, ci si ritrova al punto di partenza. Nell’inevitabile consolidamento delle telecomunicazioni europee, divise tra una ventina di operatori contro i 4-5 degli Stati Uniti, mercato comparabile per dimensioni e numero di clienti, oggi Telecom è a un passo dalle mani spagnole. L’appello alla public company, rilanciato in queste ore, rischia la sua seconda sconfitta.
IL RIDIMENSIONAMENTO
Nel frattempo, la corazzata Telecom è stata sottoposta a diversi abbordaggi che l’hanno ridimensionata, spolpata, trasformata da gruppo internazionale a società regionale, caricandola di una montagna di debiti che oggi pesano per quasi 40 miliardi. Il passaggio cruciale di questo percorso è stata prima la scalata lanciata nel ’99 da Roberto Colaninno, tramite Tecnost-Olivetti-Bell, e i suoi soci tra cui Emilio Gnutti e Giovanni Consorte. A guidare Telecom c’era Franco Bernabè che si trovò preso in contropiede. Tentò di reagire proponendo un mega-accordo con Deutsche Telekom. La manovra non riuscì e Palazzo Chigi, allora guidato da Massimo D’Alema, optò per i «capitani coraggiosi».
La scalata fu finanziata a debito, 116mila miliardi di lire, una cifra enorme per i tempi, e oggi ancora ne porta il peso. Le tappe successive sono state il passaggio nel 2001 di Telecom a Marco Tronchetti Provera e ai Benetton, attraverso la finanziaria Olimpia, controllata da Pirelli, Edizione Holding, Banca Intesa e Unicredit cui si aggiunge Hopa (Gnutti). Nuovo ribaltone e nuove fusioni societarie che, con l’incorporazione di Tim, scaricano altri debiti su Telecom. Nel frattempo vengono vendute società e immobili. Oggi, del grande impero Telecom, restano solo Tim Brasil e Telecom Argentina che Telefonica, da nuovo proprietario, dovrà vendere per ragioni di Antitrust.
Dall’uscita di Tronchetti, Telecom è passata al controllo di Telco in cui gli spagnoli sono affiancati da soci italiani (Mediobanca, Intesa, Generali) desiderosi di uscirne. Anche Telefonica è carica di debiti. Finisce così la storia del quarto gruppo industriale italiano, depositario di un patrimonio strategico: la rete di telecomunicazioni italiana.
La notizia del passaggio di TELECOM ITALIA a TELEFONICA è l’indegno epilogo della “madre di tutte le privatizzazioni”, in un Paese allo sbando nel quale imprese, gruppi finanziari e classe politica stanno demolendo le ultime certezze di milioni di lavoratori e cittadini in favore del LIBERO MERCATO.
Si poteva evitare. Andava evitato. Le privatizzazioni hanno consegnato nelle mani delle Banche e di imprenditori senza scrupoli un Asset strategico del Paese. Dal 1997 ad oggi Milioni di Euro sottratti allo Stato, finiti nelle tasche di manager, dirigenti, azionisti.
Ammortizzatori sociali, peggioramento delle condizioni lavorative, piccoli e grandi sopprusi, finanziamenti pubblici per la costruzione delle infrastrutture telefoniche, concorrenza spietata con lavoratori e lavoratrici di “serie B” dei Call Center esterni, perdita di potere contrattuale e salariale : Sono il regalo che ci rimane dopo anni di peggioramenti progressivi.
SONO TUTTI RESPONSABILI : La classe politica che varò le privatizzazioni del gruppo, favorendo le operazioni pericolose di Colaninno e la voracità di Tronchetti Provera, nonostante fossero privi di uno straccio di progetto in un settore strategico. I Sindacati Confederali che ci hanno regalato, con una complicità sconcertante, una serie infinita di accordi peggiorativi di tutti gli aspetti della vita lavorativa, dagli ammortizzatori sociali allo spezzatino aziendale.
I lavoratori e le lavoratrici, incapaci di immaginare un futuro diverso nonostante i segnali di un inarrestabile declino fossero evidenti da anni. (Nel 2006 il primo tentativo di AT&T di subentrare nel controllo del Gruppo).
GLI ACCORDI di MARZO su esuberi e riorganizzazione del lavoro sono serviti solo a rinviare di qualche mese un futuro che l’Azienda aveva annunciato al tavolo della trattativa : LA SOCIETARIZZAZIONE DI TELECOM come obiettivo strategico. Ma l’azienda aveva fatto di più : aveva incassato la complicità del sindacato ridotto ormai ad uno stuolo di passacarte che in questi mesi si è speso per convincere i lavoratori e le lavoratrici della bontà di un accordo di cui rimane solo l’amarezza degli ammortizzatori sociali, ossia soldi pubblici estorti per finanziare i dividendi degli azionisti. Grazie a quell’accordo i nuovi padroni spagnoli hanno già la strada spianata verso una facile espulsione delle migliaia di colleghi inscatolati dentro Caring Services, mentre le banche incasseranno un surplus sul valore reale delle azioni come ringraziamento per il servizio reso.
Una responsabilità complice che gli è stata permessa dalla passività ( con rare eccezioni ) con la quale abbiamo affrontato questi anni, credendo che sarebbe bastato arrivare alla fine del mese per evitare il pericolo che ora ci si prospetta.
IL PIANO INDUSTRIALE ANNUNCIATO AI PRIMI DI OTTOBRE, l’idea che l’AUTORITY possa imporre lo scorporo della rete di accesso ( classica soluzione all’ITALIANA ), cioè OPEN ACCESS, non salverà la stragrande maggioranza dei dipendenti dal pericolo della perdita del posto di lavoro.
Lo sciopero generale del 18 ottobre convocato dalle organizzazioni sindacali di base e la manifestazione nazionale a Roma, ore 11,00 Piazza della Repubblica, rappresentano una prima naturale risposta per chi avrà voglia di difendere diritti, dignità, futuro.
LA RIPUBBLICIZZAZIONE DEL GRUPPO TELECOM DOVRA’ DIVENTARE L’AGENDA POLITICA di tutti i lavoratori e di tutte le lavoratrici del GRUPPO
Per i COBAS TELECOM ALESSANDRO PULLARA
Per Informazioni e contatti 331-6022366
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