November 30, 2024
Per attirare gli investitori in India, il primo ministro Narendra Modi propone di aumentare la flessibilità lavorativa. Come dimostra l’importante sciopero del 2011-2012 alla Maruti-Suzuki, i giochi non sono del tutto fatti. Solidarietà tra precari e dipendenti, rinnovamento sindacale: i giovani lavoratori resistono e sconvolgono il repertorio tradizionale della lotta in fabbrica.
Sesto produttore mondiale con due milioni di autoveicoli costruiti nel 2013 (1), l’India spera di salire al quarto posto entro il 2016. La riforma del lavoro presentata a ottobre 2014 dal nuovo primo ministro Narendra Modi dovrebbe favorire un ritorno alla crescita pari a quella che il settore ha conosciuto negli anni 2000 (nell’ordine dell’8% l’anno in media). Essa impone la diminuzione degli ispettorati del lavoro, la «semplificazione» di alcune leggi, l’allungamento della durata dell’apprendistato, spingendo al ricorso sistematico a una mano d’opera non stabile e pagata meno (2). Queste misure sono in parte destinate ad attirare gli investitori stranieri, mentre la campagna del governo «Made in India» è al suo culmine. Esse rischiano di aggravare la precarizzazione che coinvolge l’industria da parecchi anni e che ha fatto emergere negli operai giovani pratiche e aspirazioni nuove. Il conflitto che ha scosso il costruttore Maruti-Suzuki nel 2011 e 2012, dove la mobilitazione persiste malgrado la durezza della repressione, funge sempre da modello.
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http://www.inventati.org/cortocircuito/2015/01/24/india-giovani-operai-sfidano-la-maruti-suzuki
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