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Italia ed Egitto: di realpolitik si può solo morire

Postato il 17 Luglio 2015 | in Italia, Mondo, Scenari Politico-Sociali | da

Italia ed Egitto: di realpolitik si può solo morire

di Gian Paolo Calchi Novati

Diplomazia italiana. L’islamismo è un fattore che nasce e prospera per cause profonde. Prima in Algeria e poi in Egitto la vittoria elettorale dei partiti islamici si è rivelata un’illusione o un inganno. Puntuale è scattato il colpo di stato «riparatore» con l’appoggio degli alleati. Una volta preclusa la via della politica, anche nella forma classicheggiante delle elezioni, quali saranno le misure da adottare? La guerra l’abbiamo vista e la vediamo. Altre soluzioni?

sotto-libia-renzi-al-sisiSiamo abi­tuati agli stra­fal­cioni dei nostri uomini poli­tici sui fatti del mondo. È vero anche per la poli­tica interna ma qui si parla di poli­tica estera. E que­sta volta non si può tacere.

Renzi e Gen­ti­loni hanno fanno bene, benis­simo, a pian­gere le vit­time dell’attentato al Cairo e a con­dan­nare l’atto di ter­ro­ri­smo. Nes­suno li auto­rizza però a offen­dere la verità sto­rica, la logica e la cre­di­bi­lità dell’Italia. Renzi e Gen­ti­loni, così, hanno fatto male, malis­simo, a con­trap­porre alla stra­te­gia omi­cida dell’Isis o di chiun­que abbia messo la bomba la figura esem­plare di Abdel Fat­tah al-Sisi. Il pre­si­dente egi­ziano ha più di una respon­sa­bi­lità in ciò che sta avve­nendo in Egitto e l’appoggio che gli assi­cura il governo ita­liano con parole osan­nanti fini­sce per coprire e per­sino con­di­vi­dere quelle respon­sa­bi­lità. Il colpo di stato del luglio 2013, i mas­sa­cri in piazza e le sen­tenze di morte sono pas­sati in giu­di­cato, con­do­nati, messi fra paren­tesi? Renzi non si è spinto oltre una pia esor­ta­zione a favore di un po’ più di libertà di stampa.

Sisi ha lo stesso, iden­tico pro­filo dei per­so­naggi che nel 2011 furono i ber­sa­gli delle Pri­ma­vere arabe.

Anche Ben Ali e Muba­rak, se non Ghed­dafi, che si accon­ten­tava del resto di essere la Guida della rivo­lu­zione libica e non un capo di stato, pas­sa­vano per un voto alle sca­denze di legge. Ed è pro­ba­bile che le ele­zioni che con­fer­ma­vano al potere Ben Ali e Muba­rak fos­sero più libere di quella che un anno fa ha inco­ro­nato al-Sisi.

Tutti i diri­genti occi­den­tali ex-post (non si sa mai) con­dan­na­rono i lea­der abbat­tuti dalle dimo­stra­zioni come «dit­ta­tori» (un ter­mine che, vista l’origine seman­tica, andrebbe usato in effetti con più pre­cau­zione). Dun­que, anche al-Sisi è un dit­ta­tore. Il governo ita­liano deve dire al par­la­mento e all’opinione pub­blica per­ché ha scelto come suo (nostro) prin­ci­pale alleato nel Medio Oriente un dittatore.

Tutti imma­gi­nano ovvia­mente quale sarebbe la rispo­sta. «Oggi l’Egitto è un paese chiave dal punto di vista della sfida del fon­da­men­ta­li­smo»: così il mini­stro Gen­ti­loni su Repub­blica domenica.

E qui i nostri gover­nanti dimen­ti­cano i mea culpa pro­nun­ciati con com­pun­zione nel 2011 in tutte le capi­tali occi­den­tali, anche a Washing­ton, per aver appog­giato per tanto tempo degli auto­crati che si pro­po­ne­vano come baluardo con­tro l’islamismo.

Si dovrebbe par­lare di «ver­go­gna» se non ci fosse una ver­go­gna senza colpa (leg­gere Kafka, Levi­nas e Agam­ben). Rima­nendo nel campo della poli­tica, non è tanto dif­fi­cile capire che se un governo in dif­fi­coltà giu­sti­fica i suoi cri­mini la neces­sità di stor­nare un peri­colo (per sé e soprat­tutto per gli altri: la famosa «sicu­rezza»), farà di tutto per­ché quel peri­colo al mas­simo venga con­te­nuto ma mai eli­mi­nato. L’Arabia Sau­dita inse­gna. Chi con­ti­nue­rebbe altri­menti a pre­stare aiuti, onori e armamenti?

Ad abun­dan­tiam, nel 2013 Abdel Fat­tah al-Sisi non era un uffi­ciale qua­lun­que. Non assi­steva impo­tente dalle retro­vie alle even­tuali mal­ver­sa­zioni di Morsi e dei Fra­telli. Era un mem­bro auto­re­vo­lis­simo del governo e capo delle forze armate. In un certo senso, se c’erano abusi o misfatti, ne era corresponsabile.

Comun­que, aveva l’obbligo morale e gerar­chico di espri­mere il suo dis­senso dimet­ten­dosi così da aprire una crisi che inve­stisse diret­ta­mente il pre­si­dente. Anche il mini­stro dell’Interno, che si rive­lerà un super­falco nel momento della repres­sione, lo avrebbe sicu­ra­mente imi­tato. Il governo si sarebbe tro­vato davanti alla neces­sità di una scelta. Magari avrebbe sba­gliato ancora. Ma sarebbe stata almeno l’ultima chance.

Sisi ha tro­vato più comodo vio­lare la Costi­tu­zione appena varata, cal­pe­stare quel po’ di demo­cra­zia che era stata ripri­sti­nata, dichia­rare guerra alla Fra­tel­lanza musul­mana uscita vit­to­riosa dalle urne un anno prima e auto­pro­cla­marsi rais.

Una volta si sarebbe detto «con la bene­di­zione» dell’America. Nell’immediato solo Israele e Ara­bia Sau­dita furono vera­mente d’accordo. È fon­dato il dub­bio che sul momento Obama non abbia affatto gra­dito. Il suo mini­stro della Difesa, poi rimosso, parlò al tele­fono per un’ora (la con­ver­sa­zione fu pub­bli­cata sul New York Times) al fine di con­vin­cere le auto­rità egi­ziane che ave­vano preso il potere a non usare la forza con­tro i dimo­stranti isla­mici. Ne seguì, invece, all’ombra delle moschee del Cairo, una Tian An Men mol­ti­pli­cata per dieci o per venti tenendo conto delle diverse dimen­sioni delle popo­la­zioni di Cina ed Egitto.

Sic­come Renzi, che come direbbe Anto­nio è un uomo d’onore, ha ripe­tuto anche in que­sta tri­ste occa­sione di essere impe­gnato a lot­tare con­tro il ter­ro­ri­smo, ha il dovere di spie­gare alla nazione come l’Italia, per quel poco o tanto che le com­pete, ritiene di venire a capo di un pro­blema che – anche senza svi­sce­rarlo qui un’altra volta – ha tanti aspetti che vanno al di là di al-Qaida, dello stato isla­mico e più in gene­rale del fana­ti­smo jihadista.

L’islamismo è un fat­tore che nasce e pro­spera per cause pro­fonde. Prima in Alge­ria e poi in Egitto la vit­to­ria elet­to­rale dei par­titi isla­mici si è rive­lata un’illusione o un inganno. Pun­tuale è scat­tato il colpo di stato «ripa­ra­tore» con l’appoggio degli alleati. Una volta pre­clusa la via della poli­tica, anche nella forma clas­si­cheg­giante delle ele­zioni, quali saranno le misure da adottare?

La guerra l’abbiamo vista e la vediamo. Altre soluzioni?

(tratto da Il Manifesto del 14 luglio 2015)

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