November 26, 2024
L’editoriale del Sole 24 ore di domenica scorsa, 27 settembre, ci dice, tratteggiando il viaggio americano del Presidente cinese Xi Jinping, che a Seattle in un incontro con i più importanti rappresentanti del mondo capitalistico americano “è stato presentato da un suo consigliere (!), l’ex segretario di Stato Henry Kissinger.” (Guido Rossi, Il nuovo mondo e la pace kantiana).
Ora che la Cina sia da tempo, diciamo dal periodo di Deng Xiaoping sulla strada capitalistica pare indiscutibile. Che le discussioni, a sinistra, ma anche in altri luoghi politici in Italia, verta sulla reale direzione del colosso asiatico è altrettanto serrata. Ma Henry Kissinger non pare proprio l’ideale paravento o viatico per una strada capitalistica al socialismo in salsa cinese. Per di più farsi accompagnare da un uomo che ha le mani grondanti di sangue, almeno tanto per ricordare solo un caso, dei morti cileni dopo il colpo di stato di Pinochet, sponsorizzato proprio dagli USA e da Kissinger in particolare, non depone certo a favore di un traghettamento verso il bel mondo capitalistico.
Non si riesce perciò a capire il supposto finissimo gioco cinese, che guarda a destra per rimanere però a sinistra. L’accostamento all’ex segretario di stato USA fa particolarmente schifo. E non si deve aver paura a dirlo. Il caso cileno e, ripeto, ricordiamo solo quello, fu tragico per il popolo di quel Paese con migliaia di morti e di scomparsi (desaparecidos).
Si può certo discutere sulla Cina senza lasciarsi guidare da paraocchi. Le condizioni di vita, l’inquinamento atmosferico spaventoso, i rapporti internazionali di allargamento proprietario all’esterno (imperialismo), in special modo in Africa, lasciano pochi dubbi sulla direzione dell’economia e della politica espansionistica cinese.
Basta aprire un qualsiasi sito di informazione per trovarvi foto delle maggiori città cinesi ammorbate da aria irrespirabile e dannosa. Uomini e donne con mascherine al volto. Ogni volta che vanno per le strade, escono di casa, una nebbia inquinante li avvolge, non va mai via. E tutto questo nel giro di pochi decenni.
Fenomeni nati durante gli anni ’80, solidificati sempre più nel tempo. Solo all’inizio di quel decennio a Pechino l’unica forma d’inquinamento era il vento che portava il Loss, la sabbia del deserto dei Gobi, quando spirava molto forte. Altro non c’era. Certo i cinesi andavano in biciletta e Deng aveva a che fa ancora con i monumenti della Lunga marcia, che lo aveva visto del resto partecipe. Nel periodo immediatamente dopo la morte Mao, scomparsa la banda dei quattro, la Cina era un Paese povero e l’abito alla Mao la faceva da padrone. Ma almeno si poteva pensare che un’alternativa al capitalismo fosse possibile in Cina e fosse possibile pensarla anche per altri contesti.
Ora anche la possibilità dell’alternativa cinese al capitalismo scompare dietro gli interessi dei fondi finanziari cinesi, che sono sempre alla ricerca di qualcosa da comprare, da afferrare, ad esempio in Italia. Sempre il Sole 24 ore, stesso giorno, riporta un grafico con le acquisizioni azionarie cinesi, della Bank of China nelle aziende italiane. È un delirio. Sotto il titolo Pechino prepara l’ingresso in Poste italiane si possono trovare acquisizioni plurime che si sono sostanziate nel tempo – del resto Pechino era entrata a fare parte del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, già nel 1980, quattro anni dopo la morte di Mao, inizio era di Deng. Partecipazioni azionarie di rilievo, tutte attorno al 2%, più o meno, in ENI, Intesa San Paolo, ENEL, Unicredit, Generali, Telecom, FCA, Terna, Mediobanca, MPS, Prysmian, Saipem. Insomma tutto il bel mondo capitalistico italiano. Il 2% in questi colossi significa miliardi di Euro.
Ora cercare di definire la natura dello stato cinese e del suo governo appare non così scontato ma neppure può dare adito a fraintendimenti eclatanti.
Così come quando esisteva l’URSS non si sapeva bene, anche a secondo la fase storica in special modo dopo la seconda guerra mondiale, quale significato attribuire a quel Paese. Ma sul piano del potere puro nessuno avrebbe potuto negare il contrasto tra blocchi, due entità che giocavano a livello mondiale – ed una di queste erano gli USA. Lotta per la supremazia alternativa in diverse aree del pianeta.
Molto più difficile appare oggi con la Cina, visti i suoi interessi finanziari, commerciali e proprietari, quindi anche produttivi, in troppe situazioni a livello internazionale. Il tutto appare proprio come un’infiltrazione finanziaria che cerca di replicare, in meglio, i meccanismi della finanza capitalistica internazionale. Un fenomeno comunque complesso e complicato. La riduzione di questo esperimento asiatico in gabbie ideologiche, per di più non tarate sulla contemporaneità, appare quanto meno in affanno e perdente.
Insomma non si può più dire l’Oriente è rosso, ma non si sa bene ancora cosa dire con certezza. Ciò che appare nei fatti non depone però a favore di una resistenza reale al modello di vita capitalistico con le sue nere conseguenze. Inquinamento – oltre che dell’ambiente anche alimentare, una vera preoccupazione in Cina -, scontri sociali per motivi economici – e qui la letteratura è veramente tanta – attività delinquenziali a livello pubblico – leggi corruzione, in Cina altissima.
Lo studio sulla società cinese e sui comportamenti del suo governo ci inducono alla prudenza nell’attribuire allo stato asiatico una chiara natura o un’altra. Ma un problema reale e profondo esiste in Cina, da sempre. Il Paese è troppo vasto, troppo abitato e quindi ogni decisione si possa prendere là il potere centrale corre sempre il rischio di sbagliare. Un errore insignificante all’inizio si propaga in cerchi sempre più grandi, data la quantità enorme di ogni cosa, un miliardo e 357 milioni di persone.
Si aprono problematiche imprevedibili, forse impensabili quando quella decisione si era pensata. La quantità preme sulla qualità. La prudenza è d’obbligo e la Cina sfugge a cornici troppo strette di troppe analisi occidentali.
Tiziano Tussi
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