December 21, 2024
LA DEFINITIVA SCONFITTA DELLO STRESS LAVORO CORRELATO: UN SUCCESSO TUTTO ITALIANO!
di Graziano Frigeri
Secondo l’ Agenzia Europea per la Salute e la Sicurezza del Lavoro, “Lo stress è il secondo problema di salute legato all’attività lavorativa riferito più frequentemente e colpisce il 22% dei lavoratori dei 27 Stati membri dell’UE (dati del 2005)”.
Sempre secondo l’Agenzia Europea, tale dato è destinato nel tempo ad aumentare. In base alle stime più recenti, la percentuale di lavoratori esposti a rischio di stress lavoro correlato si aggirerebbe tra il 27% ed il 30% dell’intera forza lavoro nella Unione Europea, corrispondente in termini assoluti, adottando un atteggiamento prudenziale, a circa 54 milioni di lavoratori: poco meno dell’intera popolazione italiana.
Ma le Istituzioni e le Sanitarie italiane, i Sindacati e le Associazioni di Categoria, coloro che si occupano professionalmente di salute lavorativa e, soprattutto, i lavoratori italiani, possono tirare più di un sospiro di sollievo, e hanno motivo di provare autentico orgoglio nazionale: dei 54 milioni di lavoratori europei esposti a rischio di stress lavoro correlato, nemmeno uno si trova in Italia: lo certificano in modo inoppugnabile le migliaia di valutazioni del rischio da stress lavoro correlato effettuate dai datori di lavoro, coadiuvati dai loro consulenti (RSPP, Medici Competenti, Psicologi del Lavoro), seguendo rigorosamente il “percorso metodologico” suggerito dalle indicazioni fornite dalla Commissione Consultiva ex art. 6 del D.Lgs. 81/08 nel novembre 2010
Discussione
Il percorso metodologico definito dalla Commissione, ripreso e fatto proprio dall’INAIL nel “Manuale ad uso delle Aziende in attuazione del D.Lgs. 81/08 e s.m.i.” edizione 2011 (che aveva recuperato e modificato, uniformandolo al “percorso”, un precedente manuale ISPESL, a sua volta ripreso da analogo protocollo inglese edito dal HSE, che peraltro in UK non ha avuto alcun utilizzo concreto nelle Aziende) prevede, in sintesi, i seguenti step:
1) Valutazione preliminare “oggettiva” condotta prendendo in esame “indicatori di rischio da stress lavoro-correlato “oggettivi e verificabili e ove possibile numericamente apprezzabili” , valutati mediante “liste di controllo applicabili anche dai soggetti aziendali della prevenzione”.
Sulla base di questa modalità di valutazione, che per definizione non tiene conto della percezione soggettiva dei lavoratori, sia singolarmente che come popolazione, il percorso, assicurano gli autori, è in grado di determinare l’esistenza, ed il livello, del rischio da stress lavoro correlato.
Gli autori, in pratica, sebbene l’accordo europeo del 2004 espressamente citato dall’art. 28 come norma guida per la valutazione affermi che lo stress consiste in “una condizione, accompagnata da sofferenze o disfunzioni fisiche, psichiche, psicologiche o sociali, che scaturisce dalla sensazione individuale di non essere in grado di rispondere alle richieste o di non essere all’altezza delle aspettative” hanno ritenuto che, in prima battuta, la percezione soggettiva dei lavoratori in ordine alle situazioni possibili fonti di rischio da stress lavoro correlato non fosse un elemento meritevole di essere presa in considerazione.
Hanno invece ritenuto che il solo esame, mediante liste di controllo, degli indicatori di rischio “misurabili” sia sufficiente a definire il livello di stress lavoro correlato cui sono soggetti i lavoratori.
Nel caso la valutazione abbia “esito negativo”, vale a dire nel caso in cui i livelli di stress lavoro correlato così determinati si rivelino insignificanti, nessuna ulteriore azione è richiesta al datore di lavoro, salvo il monitoraggio periodico con le stesse procedure.
Nel caso invece la valutazione preliminare abbia un “esito positivo”, cioè emergano elementi di rischio “tali da richiedere il ricorso ad azioni correttive, si procede alla pianificazione ed alla adozione degli opportuni interventi correttivi”.
2) Solamente se questi ultimi si rilevano inefficaci, si passa alla valutazione successiva, cosiddetta “valutazione approfondita” e, a solo questo punto, si può prende in considerazione quella che l’accordo europeo identifica come l’unità di misura dello stress lavoro correlato, cioè “la percezione soggettiva dei lavoratori”.
Risultati
Nella realtà italiana, a fronte di un limitato numero di casi in cui si è proceduto fin dal principio a prendere in considerazione con vari strumenti (interviste, focus group, questionari) la percezione soggettiva dei lavoratori nel processo di valutazione del rischio da stress lavoro correlato, nella stragrande maggioranza dei casi, la valutazione è stata condotta seguendo il percorso indicato dalla Commissione.
A distanza di oltre cinque anni dalla emanazione del D.Lgs. 81/08 che, per la prima volta, indicò espressamente lo stress lavoro correlato come uno dei fattori di rischio da prendere in considerazione nel processo di valutazione, ed a oltre 3 anni dalla emanazione delle indicazioni della Commissione relativamente al percorso riassunto sopra, è possibile trarre un primo bilancio sufficientemente preciso della situazione.
Sulla base delle migliaia di documenti di valutazione dei rischi redatti nella maggior parte delle aziende italiane di piccola media e grande dimensione, possiamo affermare con orgoglio che lo stress lavoro correlato si presenta pressoché dappertutto a livelli bassi o francamente inesistenti.
Nei pochissimi casi in cui siano stati evidenziati isole di livello “medio” (colorazione gialla secondo il manuale INAIL) le misure prontamente adottate dai datori di lavoro hanno prodotto la riconduzione dei livelli di rischio in area verde, non dovendosi pertanto ricorrere in pressoché nessun caso alla fase della “valutazione approfondita”.
Conclusioni
1) L’applicazione su vasta scala del percorso indicato dalla Commissione nel novembre 2013 ha permesso di accertare, in soli tre anni, che il rischio da stress lavoro correlato in Italia è pressoché insistente. Nei rarissimi casi in cui in base alla valutazione preliminare sui dati “misurabili” ha evidenziato un rischio medio, le misure prontamente messe in atto dai datori di lavoro hanno azzerato o comunque ridotto ai minimi termini il rischio.
2) Il percorso metodologico sopra indicato, ed il successo straordinario da esso ottenuto, si fonda sull’assunto che, contrariamente a quanto generalmente finora riconosciuto a livello scientifico e ripreso anche dall’accordo europeo del 2004, la rilevazione della percezione soggettiva dei lavoratori per la determinazione dei livelli di stress lavoro correlato non sia rilevante per affrontare il problema, ma possa tuttavia essere presa in considerazione in un secondo tempo, a fronte di un eventuale insuccesso delle fasi precedenti; insuccesso peraltro, visiti i risultati ampiamente positivi, del tutto improbabile.
3) L’esperienza italiana, che ha permesso in soli tre anni di debellare un fattore di rischio che nel resto d’Europa costituisce un problema sanitario e sociale di rilevanza drammatica, andrebbe fatta propria dall’ EU-OSHA e senz’altro proposta come standard di riferimento per tutti i Paesi dell’Unione.
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