November 23, 2024
Una delle conseguenze paradossali della “buona scuola” dell’attuale governo Renzi è l’obbligatorietà di quella che viene definita “alternanza scuola lavoro”. Si tratta di una pratica che alcuni indirizzi scolastici, quali quello professionale, già hanno in essere ma che ora viene estesa a tutta l’impalcatura scolastica. Paradossale richiesta che si inserisce in una critica situazione occupazionale giovanile con motivazioni di fondo che non hanno un indirizzo preciso e con modalità attuative quantomeno evanescenti. Se prendiamo ad esempio i Licei, non ci possiamo certo immaginare quali possano essere i luoghi deputati dove inserire i giovani studenti per stage lavorativi, naturalmente senza esborso di compenso per le aziende. Gli studenti dei Licei, ma anche di altri ordini di studio, non sono formati per un indirizzo unico e preciso. Del resto se appare naturale che chi frequenti una scuola professionale alberghiera abbia la possibilità di farsi assegnare per un periodo di tirocinio, sempre gratuito, in alberghi e ristoranti, per studenti che sono preparati in senso generico a professioni più disparate, quale potrebbe essere il luogo di lavoro possibile?
Nel corso dell’ultimo triennio di studi delle superiori gli studenti dovranno sostenere 200 ore di alternanza, circa 60/70 per anno. E subito nasce un ostacolo quantitativo. Gli studenti del triennio finale delle superiori in Italia sono circa mezzo milione. Dove trovare luoghi di tirocinio per tutti loro e soprattutto perché? Ripeto, se per Professionali e Tecnici i luoghi di formazione diretta appaiono scontati, per tutti gli altri non si capisce bene a che pro uno stage. Per fare fotocopie e portare il caffè in ufficio? Per pulire per terra? Per fare numero? Mah? Ed ancora, si dice nel decreto di attuazione, DDL 77/2015, che occorre valutare didatticamente il periodo, nel curriculum scolastico. In che modo? se lo studente in questione, dopo una quindicina di giorni in azienda – ma quale? – ha passato il tempo fotocopiando documenti?
Il lavoro di organizzazione a compimento di tanta evanescenza deve esser fatto da insegnanti che devono lavorare di più e gratuitamente – telefonate, riunioni nei luoghi di lavoro, definizione di obiettivi e controllo del raggiungimento degli stessi – per non si sa bene cosa. Infatti si tratta di lavoro schiavile, non pagato e gratuito, senza possibilità di continuità nel tempo. Finito lo stage, terminato ogni rapporto con quell’azienda. Sempre ammettendo che le aziende private e/o pubbliche disposte a trattare con gli studenti siano nelle condizioni di soddisfare tali richieste. Infatti, vedere aggirarsi per i luoghi di lavoro giovani incapaci di ogni attività produttiva per un periodo di circa quindici giorni può essere più un aggravio che un sollievo per le attività produttive in genere.
Una modalità che scimmiotta altri mondi ed altri possibilità. In un Paese attanagliato dalla disoccupazione giovanile tali stage non aprono davvero nulla di serio nel mondo scolastico né tantomeno in quello lavorativo. Senza contare lo scompaginamento dell’usuale lavoro in classe, con studenti che vanno e vengono oppure che, in blocco, non stanno in scuola per circa quindici giorni. E nel frattempo che fare?
Il mondo della scuola appare ancora una volta investito da richieste assurde ed immotivate. Un cascame della cosiddetta “buona scuola”. Che va ad aggiungersi alle troppe problematiche, carichi di lavoro, che aggravano la vita scolastica di oggi. Un continuo aggiungere richieste che vanno a peggiorare la risultanza culturale che la scuola dovrebbe garantire. Tanto per affossare ciò che resta del senso profondo del “fare lezione”.
Tiziano Tussi
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