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L’obbligo per il datore di lavoro di lavare gli indumenti di lavoro configurabili come DPI

Postato il 7 Luglio 2023 | in Sicurezza sul lavoro | da

Relativamente all’obbligo da parte del datore di lavoro o dei dirigenti di una azienda di igiene ambientale di lavare le divise da lavoro, in quanto assimilabili a DPI e quindi la cui manutenzione (lavaggio compreso) compete all’azienda stessa, esistono due documenti istituzionali (Circolare Ministeriale n. 34 del 1999, e Sentenza n. 18573/2007 della Corte di Cassazione (che riporto entrambe integralmente in allegato), che asseriscono in maniera inequivocabile che, quando l’indumento assolve anche a una funzione protettiva da agenti pericolosi per la salute (e nell’attività degli operatori di igiene ambientale sono soggetti, venendo a contatto con rifiuti a rischio chimico e biologico) deve essere equiparato a un dispositivo di protezione individuale (DPI) con conseguente obbligo di lavaggio a carico del datore di lavoro.

Infatti, la Circolare Ministeriale n. 34 del 1999 afferma che:

Gli indumenti di lavoro possono assolvere a varie funzioni:

  1. a) elemento distintivo di appartenenza aziendale, ad esempio uniforme o divisa;
  2. b) mera preservazione degli abiti civili dalla ordinaria usura connessa all’espletamento dell’attività lavorativa;
  3. c) protezione da rischi per la salute e la sicurezza.”

In tale ultimo caso, tali indumenti rientrano tra i dispositivi di sicurezza che assolvono alla funzione di protezione dai rischi, ai sensi dell’articolo 40 del Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n. 626.

Rientrano, ad esempio, tra i dispositivi di protezione individuale (DPI) gli indumenti fluorescenti che segnalano la presenza di lavoratori a rischio di investimento, quelli di protezione contro il caldo o il freddo, gli indumenti per evitare il contatto con sostanze nocive, tossiche, corrosive o con agenti biologici, ecc.

[…]

A tale scopo è necessario che il datore di lavoro provveda alla loro pulizia stabilendone altresì la periodicità.

La Sentenza n. 18573/2007 della Corte di Cassazione afferma poi che:

L’idoneità degli indumenti di protezione che il datore di lavoro deve mettere a disposizione dei lavoratori – a norma dell’art.379 del D.P.R.n.547 del 1955 fino alla data di entrata in vigore del D.Lgs.n.626 del 1994 e ai sensi degli art.40, 43, commi 3 e 4, di tale decreto, per il periodo successivo – deve sussistere non solo nel momento della consegna degli indumenti stessi, ma anche durante l’intero periodo di esecuzione della prestazione lavorativa. Le norme suindicate, infatti, finalizzate alla tutela della salute quale oggetto di autonomo diritto primario assoluto (art.32 cost.), solo nel suddetto modo conseguono il loro specifico scopo che, nella concreta fattispecie, é quello di prevenire l’insorgenza e il diffondersi d’infezioni. Ne consegue che, essendo il lavaggio indispensabile per mantenere gli indumenti in stato di efficienza, esso non può non essere a carico del datore di lavoro, quale destinatario dell’obbligo previsto dalle citate disposizioni

Il fatto poi che, sia la Circolare, sia la Sentenza siano relativi al D.Lgs.626/94 e non al D.Lgs.81/08 non cambia niente in quanto, ai sensi dell’articolo 304, comma 3 di quest’ultimo Decreto: “Fino all’emanazione dei decreti legislativi di cui al comma 2, laddove disposizioni di legge o regolamentari dispongano un rinvio a norme del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, ovvero ad altre disposizioni abrogate dal comma 1, tali rinvii si intendono riferiti alle corrispondenti norme del presente decreto legislativo”.

Il mancato lavaggio delle divise configurabili di fatto come DPI per quanto detto sopra, da un punto di vista legislativo si configura come reato penale per mancata ottemperanza da parte del Datore di Lavoro o dei Dirigenti, dell’obbligo di cui all’articolo 77, comma 4, lettera a) del D.Lgs.81/08 per cui:

Il datore di lavoro mantiene in efficienza i DPI e ne assicura le condizioni d’igiene, mediante la manutenzione, le riparazioni e le sostituzioni necessarie e secondo le eventuali indicazioni fornite dal fabbricante”.

La non ottemperanza a tale obbligo prevede, ai sensi dell’articolo 87, comma 2, lettera d) del D.Lgs.81/08, la pena dell’arresto da tre a sei mesi o dell’ammenda da 2.500 a 6.400 euro.

Relativamente agli indumenti ad alta visibilità essi rientrano nella categoria di DPI, come da allegato II del Regolamento (UE) 2016/425 “Sui dispositivi di protezione individuale e che abroga la direttiva 89/686/CEE del Consiglio” (allegato) che, al punto 2.13 dell’allegato II che ne definisca i requisiti essenziali sicurezza:

I DPI destinati ad essere utilizzati in condizioni in cui si prevede sia necessario segnalare visivamente e individualmente la presenza dell’utilizzatore devono essere dotati di uno o più dispositivi o mezzi di segnalazione opportunamente collocati, che emettano una radiazione visibile, diretta o riflessa, con un’intensità luminosa e caratteristiche fotometriche e colorimetriche adeguate.

Inoltre, il datore di lavoro e i dirigenti per individuare le caratteristiche del DPI in generale e degli indumenti ad alta visibilità in particolare, non può decidere in autonomia, ma deve fare riferimento, per tramite del fabbricante del DPI, alla norma tecnica di riferimento, cioè, in questo, la UNI EN 471:2008 “Indumenti di segnalazione ad alta visibilità per uso professionale – Metodi di prova e requisiti”.

Per tutto quanto scritto sopra, al di là che gli abiti da lavoro per operatori ambientali siano o meno ad alta visibilità, essi devono essere considerati di fatto come DPI, in quanto proteggono l’operatore da agenti pericolosi per la salute.

Gli allegati:

23 06 28 pulizia abiti da lavoro

Circolare Ministeriale 34 99 (pulizia indumenti di lavoro)

Regolamento UE 2016 425 (DPI)

Sentenza Cassazione 18573 07 (pulizia indumenti di lavoro)

Tratto dalla Mailing List Sicurezza sul Lavoro

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