Un torto subito da un lavoratore è un torto fatto a tutti (IWW)

Nakba, Israele contro i rifugiati ritornati di Kufr Bi’rem

Postato il 16 Maggio 2015 | in Mondo, Scenari Politico-Sociali | da

al_nakbaPalestina. A 67 anni dall’esilio di 800mila palestinesi dalle proprie terre, la lotta per il ritorno non si ferma. In Galilea un gruppo di rifugiati è tornato nel proprio villaggio, ancora target delle politiche di espulsione israeliane

Quante cata­strofi può vivere un popolo? Quella del popolo pale­sti­nese, ves­sato dalla sto­ria, colo­niz­zato per secoli, va avanti: a 67 anni dal 15 mag­gio 1948 — dichia­ra­zione di indi­pen­denza dello Stato di Israele — è costretto ancora, quo­ti­dia­na­mente, a rivi­vere la pro­pria sof­fe­renza. La chia­mano “ongoing Nakba”, la cata­strofe che con­ti­nua dopo quella di 67 anni fa quando 800mila pale­sti­nesi (l’80% della popo­la­zione dell’epoca) furono cac­ciati dalle mili­zie sio­ni­ste dalle pro­prie terre.

E se fuori dai con­fini della Pale­stina sto­rica il popolo della dia­spora è ancora in esi­lio, all’interno le poli­ti­che israe­liane di tra­sfe­ri­mento for­zato ten­tano di sepa­rare i pale­sti­nesi dalle pro­prie terre.

O da quello che ne resta. Kufr Bi’rem è uno degli esempi, modello del signi­fi­cato del diritto al ritorno, san­cito dalla riso­lu­zione Onu 194/48, e della sua vio­la­zione. Lo chia­mano il vil­lag­gio dei rifu­giati ritor­nati da quando, due anni fa, i pro­fu­ghi sono tor­nati a vivere tra le case distrutte. Ma per­met­tere il ritorno anche ad un solo rifu­giato signi­fi­che­rebbe aprire una peri­co­losa brec­cia in un muro che appare indi­strut­ti­bile. Così da due anni, quei pro­fu­ghi ritor­nati sono tar­get delle auto­rità israeliane.

«Alla Nakba che con­ti­nua abbiamo rispo­sto con una lotta che con­ti­nua», spiega al mani­fe­sto Was­sim Ghan­tous, mem­bro di al-Awda (ritorno in arabo), comi­tato che dagli anni ’80 si occupa di far rivi­vere Kufr Bi’rem.

Situato nell’estremo nord della Gali­lea a 3 km dal Libano, godeva di una posi­zione stra­te­gica fon­da­men­tale. «All’epoca il movi­mento sio­ni­sta aveva fis­sato delle prio­rità nell’occupazione delle comu­nità pale­sti­nesi – con­ti­nua Ghan­tous – Prima pre­sero di mira le città, sedi delle zone indu­striali, del com­mer­cio, dei cen­tri cul­tu­rali; poi, i vil­laggi agri­coli per­ché pos­se­de­vano molta terra ma pochi abi­tanti. Come Kufr Bi’rem, 12mila dunam di terre e 1.040 residenti».

Per cac­ciarli, a dif­fe­renza di altri vil­laggi tea­tro di bar­bari mas­sa­cri o di depor­ta­zione fisica (intere fami­glie cari­cate su camion, bar­che o trat­tori), a Kufr Bi’rem le mili­zie sio­ni­ste usa­rono l’inganno. Il 29 otto­bre ’48, sei mesi dopo la nascita di Israele, le neo­nate auto­rità chie­sero ai resi­denti di allon­ta­narsi per due set­ti­mane per ragioni di sicu­rezza, vista la vici­nanza al con­fine libanese.

I mille abi­tanti si fida­rono e lascia­rono la comu­nità senza por­tare con sé nulla, con­vinti di tor­nare a breve. Non accadde mai. «Subito i rifu­giati atti­va­rono e l’anno dopo la Nakba pre­sen­ta­rono alla Corte Suprema israe­liana una peti­zione che chie­deva l’autorizzazione a tor­nare nel vil­lag­gio. Nel 1951 la Corte rispose con una deci­sione a metà: impo­neva il ritorno dei rifu­giati in quanto non esi­ste­vano più ragioni che ne giu­sti­fi­cas­sero l’allontanamento, ma allo stesso tempo lasciava l’ultima parola all’esercito».

Il timore che quei rifu­giati tor­nas­sero era comun­que forte. La distru­zione totale del vil­lag­gio arrivò dal cielo, nel ’53. Dalla col­lina accanto i suoi abi­tanti assi­stet­tero impo­tenti e in lacrime ai raid che ridus­sero in mace­rie le case.

«Oggi i discen­denti dei 1.040 resi­denti del 1948 hanno rag­giunto le 6mila unità: la metà vive ancora in Pale­stina. L’altra metà in Libano». Chi è riu­scito a rima­nere non ha smesso di lot­tare: dagli anni ’50 i rifu­giati di Kufr Bi’rem hanno scio­pe­rato, si sono fatti arre­stare, hanno seguito le vie legali, hanno orga­niz­zato campi estivi per i pro­pri figli tra le rovine del vil­lag­gio. Un’idea lan­ciata trent’anni fa che, nel 2013, si è tra­sfor­mata in ben altro: due estati fa, dopo la fine del tra­di­zio­nale campo estivo, il comi­tato ha deciso di rimanere.

La scuola e la chiesa, unici edi­fici rima­sti in piedi, sono stati rin­no­vati. I rifu­giati si sono divisi in comi­tati, ognuno respon­sa­bile di com­piti diversi: cuci­nare, orga­niz­zare festi­val, ripu­lire dalle erbacce i resti delle case. E man­te­nere una pre­senza fissa: ogni notte e ogni giorno 100 per­sone si sono date il cam­bio per evi­tare l’espulsione. Che è arri­vata sotto forma di raid mili­tare l’11 ago­sto 2014, nono­stante la peti­zione del vil­lag­gio pre­sen­tata al tri­bu­nale di Naza­reth fosse ancora pen­dente: fun­zio­nari dell’Israeli Land Autho­rity si sono pre­sen­tati a Kufr Bi’rem, hanno con­fi­scato uten­sili della cucina, mate­rassi, allacci a elet­tri­cità e acqua e distrutto le stanze costruite intorno alla chiesa.

Il terzo raid in due anni. Ma Kufr Bi’rem resi­ste: il comi­tato al Awda si sta rior­ga­niz­zando per tor­nare nel vil­lag­gio. E sfi­dare ancora le poli­ti­che israeliane.

Chiara Cruciati

KUFR BI’REM

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