November 24, 2024
Ripubblichiamo con piacere un articolo sintetico e chiaro apparso su La Città Futura, in cui Carmine Tomeo commenta i recenti dati INAIL sull’aumento dei morti sul lavoro registrato nel 2015 rispetto al 2014. Un aumento del 16%(!) che si accompagna paradossalmente a una diminuzione del numero degli infortuni. Ma la matrice è comune: il dilagare della precarietà, quella ormai diventata norma con l’abolizione dell’articolo 18, che rende i lavoratori sempre più ricattabili e ostacola le denunce di infortunio mentre li ammazza.
Ripubblichiamo il comunicato di Opera Nostra, il comitato che si batte contro la privatizzazione dell’Arena di Verona e contro i peggioramenti nelle condizioni di lavoro e di salario dei lavoratori della fondazione, alla cui lotta abbiamo già dato spazio altra volte.Questa volta i lavoratori se la prendono contro la nuova gestione commissariale della fondazione, seguita alla vittoria del NO al referendum contro l’accordo capestro che la precedente amministrazione aveva proposto ai lavoratori, che ha subito dato prova di sé: ha infatti assunto una serie di nuovi lavoratori in vista dell’imminente stagione lirica (in realtà sempre gli stessi ogni anno!), obbligandoli a firmare una clausola veramente incredibile nei loro contratti a tempo determinato, in cui promettono che non chiederanno la stabilizzazione! In pratica si chiede ai lavoratori stessi una liberatoria per tenerli precari e usarli solo quando servono!
A Roma il 20% del servizio di trasporto pubblico di superficie (autobus) è appaltato a un’azienda privata, la Roma TPL, che a sua volta subappalta parte della produzione in una giungla di esternalizzazioni. Autobus altrettanto in ritardo quanto l’ATAC, o a volte anche di più, spesso fatiscenti, addirittura senza carburante. Ma perché ancora si parla di privatizzare l’azienda pubblica? Per risparmiare sul personale: carichi di lavoro più difficili e pesanti, per lavoratori pagati meno per le stesse identiche mansioni… o non pagati affatto! Ma il vaso è colmo e si annunciano nuovi scioperi, dopo giorni in cui molti lavori si sono messi in malattia o ferie non retribuite, nonostante gli effetti che questo potrebbe avere in busta paga.
l tavolo di trattative di ieri al Mise ha disposto quanto segue: ai 42 mila euro lordi previsti per ognuno dei 394 dipendenti in esubero, ne sono stati aggiunti 18 mila da destinare alla formazione e all’assunzione a tempo indeterminato, per un totale di 60 mila euro lordi.Circa 25 milioni di euro sono stati quindi stanziati per permettere un futuro ai lavoratori e alle lavoratrici di Italcementi che, senza un’inversione di rotta, si troveranno licenziati al termine del closing. Ma di quale futuro si parla concretamente? Grazie alle nuove politiche lavorative del Jobs Act, i futuri ex dipendenti di Italcementi saranno assunti con un contratto a tutele crescenti, che andrà a sostituire il precedente indeterminato di cui godevano, scaraventandoli di colpo nel precariato. Inoltre, nonostante quello che appare ad una prima e rapida lettura, dei 18 mila euro aggiunti solo 7 mila sono destinati concretamente al lavoratore “per iniziative formative”.
Da qualche giorno anche a Napoli alcuni lavoratori della Almaviva si sono organizzati per portare le ragioni del NO alle consultazioni che si stanno tenendo in queste ore in tutte le sedi del gruppo. I lavoratori devono decidere se accettare o meno i termini indicati dall’azienda per mettere sul tavolo il ritiro dei 3000 licenziamenti annunciati il 21 marzo scorso. Ripubblichiamo uno dei volantini che stanno diffondendo da ieri mattina, in occasione delle assemblee sindacali, per spiegare le ragioni del NO, sulla base del dato di fatto del peggioramento delle condizioni che deriverebbero dall’accettazione della proposta aziendale.
Dopo la vittoria al referendum, la parola ai lavoratori: “Oggi è stato l’ultimo giorno di votazioni nelle varie sedi Almaviva. Lo scorso fine settimana, per noi, è iniziato col fiato sospeso, con il timore che i “Sì” potessero prevalere, e che si dovesse ingoiare un accordo decisamente difficile da mandare giù. Diciamocelo: avevamo forse troppa poca fiducia in noi stessi, nei nostri colleghi. Eravamo rimasti scottati in passato e avevamo paura che potesse capitare di nuovo… Man mano che passavano le ore, i giorni, arrivavano notizie ufficiose. Contattavamo i colleghi, prima quelli di Roma, quelli che avevano aperto le danze del voto, poi quelli di Palermo, di Rende e così via. Ci dicevano che nelle assemblee la tensione era stata palpabile, che c’erano stati scontri verbali anche molto duri. E puntualmente la telefonata terminava con una bella iniezione di fiducia: i NO sarebbero prevalsi nettamente!” …
Abbiamo tradotto questo articolo di Jonah Birch apparso il 28 aprile sulla rivista statunitense Jacobin. È un bel pezzo che si inserisce nel dibattito, riguardante il movimento francese, in atto nel mondo anglosassone. L’articolo a noi è piaciuto perché rimette le cose al loro posto: contrariamente a quanto scritto dall’antropologo anarchico David Graeber in un suo intervento apparso su Le Monde del 12 aprile, Jonah Birch contestualizza l’occupazione di Place de la République all’interno del movimento contro la Loi-EL Khomri, ossia il Jobs Act dei francesi.
I lavoratori in appalto dell’università di Firenze hanno rispedito al mittente i tentativi delle ditte di limitare la partecipazione degli appaltati allo sciopero nazionale per il rinnovo del CCNL multiservizi, indetto dai confederali. Nonostante le aziende abbiano provato ad intimidire i lavoratori con telefonate e “ordini di servizio”, con una risposta compatta e unitaria e con l’immediata solidarietà dei lavoratori dell’università, anche ai tempi del Job Act, si vince! Qui potete trovare l’intervento di un protagonista di questa lotta.
I lavoratori e le lavoratrici della Gepin contact, insieme al Clash City Workers e alla Camera Popolare del Lavoro, hanno voluto ricordare a Poste italiane, l’azienda per la quale per anni hanno lavorato come servizio clienti in outsourcing, quali siano le sue responsabilità riguardo al licenziamento di 450 persone divise tra le sedi di Napoli (Casavatore, per essere precisi) e Roma. Attraverso un affissione sui muri di alcune delle filiali, assieme ai lavoratori che da mesi stanno mettendo in campo una dura lotta per scongiurare tali licenziamenti, abbiamo voluto informare i clienti delle Poste del fatto che questa partecipata dallo Stato, unica azienda committente della Gepin Contact, attraverso la decisione di non rinnovare più l’appalto senza garantire la continuità lavorativa ai 450 lavoratori, è la ragione dei licenziamenti che oggi sono sul tavolo. Come i lavoratori hanno più volte ribadito in queste settimane, Poste Italiane non può semplicemente lavarsi le mani di quanto sta accadendo. Le sue responsabilità sono palesi e vi deve far fronte.
Un’area in cui la disoccupazione la fa da padrona, si susseguono le chiusure delle attività industriali e commerciali, i giovani emigrano ogni anno di più. Un mix micidiale per il martoriato territorio dell’area a nord di Napoli. A cui si aggiunge in queste settimane la notizia della possibile chiusura del centro commerciale I Pini. Ma i 150 lavoratori non di stanno e decidono per lo sciopero!
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