November 27, 2024
Riceviamo e pubblichiamo
Dopo il corteo del primo maggio e i suoi esiti, non abbiamo voluto intenzionalmente prendere parte alla ridda di comunicati sulle dinamiche della giornata in sé, né ci interessa ora riprendere un argomento probabilmente più consono a un trasparente e severo ma dialettico dibattito interno ai movimenti, ricordando solo che siamo stati tra i firmatari insieme al SI Cobas e a molte altre strutture nazionali di un appello per uno spezzone anticapitalista che voleva attraversare “l’evento” per andar oltre.
Ci siamo presi il tempo necessario per fare uscire alcune riflessioni su questo andar oltre, maturate a partire dalle nostre esperienze di conflitto nella logistica, parlando del primo maggio solo come pretesto per provare a contribuire allo sforzo di molti compagni e compagne che nei diversi territori provano a rimettere al centro della propria azione politica la classe con i suoi bisogni e i suoi interessi.
Contro la precarietà e lo sfruttamento di classe.
Contro la vetrina del capitalismo.
Sul primo maggio per andare oltre.
Non accettiamo la divisione assolutamente strumentale tra buoni e cattivi.
Non siamo disposti a subordinare qualsiasi tipo di pratica al giudizio strumentale dei fautori del supermercato globale rappresentato da Expo.
Non ci sentiamo marionette e per nulla interpreti e incasellabili nei ruoli decisi nelle stanze del potere per i quali devi ineluttabilmente essere un’inutile e colorata coreografia del dissenso o, in alternativa, un generico presunto “blackbloc”, figure comunque a nostro giudizio entrambi compatibili perché incapaci di organizzare un’opposizione reale da un punto di vista di classe.
Rifiutiamo questi ruoli che per molti aspetti attengono ad una visione mediata (in quanto non reale), mediatica ed estetica del conflitto.
Non abbiamo mai creduto in una “democrazia” parlamentare, da sempre comitato d’affari del capitalismo nazionale e ora anche transnazionale, che sempre più concede possibilità di dissenso esclusivamente inserite all’interno di compatibilità economiche e politiche.
Non siamo disposti a fare alcun passo indietro nella nostra opposizione al capitalismo per compiacere all’attacco di isteria collettiva che si sta scatenando per trovare giustificazione all’incrudimento dei processi repressivi con la scusa delle vetrine rotte il primo maggio.
Crediamo che la disgustosa operazione “pulizia” del sindaco Pisapia stia dando pericolosamente corpo ad una rabbia perbenista in difesa di Expo e del piccolo imbonitore fiorentino riuscendo a mettere in campo per la prima volta il partito della nazione in tutte le sue componenti, dalla borghesia pseudo-illuminata, al più schifoso e viscerale anticomunismo, fino a chi si attacca con tutte le sue forze a un presente presentato come immutabile e inevitabile. Una rivendicazione di classe e insieme a un misto culturale tra il corteo dei colletti bianchi a Torino nel 1980 dopo l’occupazione della Fiat e la maggioranza silenziosa del 1972 per rispondere alle conquiste operaie.
Expo ripetiamo, è un quadro paradigmatico e apripista per le soluzioni che il capitalismo sta provando ad opporre alla sua stessa crisi: distruzione di risorse (altro che superamento della fame nel mondo) e precarietà di vita e di lavoro per il proletariato mondiale (MacDonald e Coca Cola insegnano).
La crisi del capitalismo sta inasprendo lo scontro tra capitale e lavoro e tra capitale e natura con l’esasperazione dello sfruttamento di classe e della devastazione dei territori.
Da questo quadro oggettivo crediamo sia necessario ripartire/continuare e far sedimentare coscienza di classe e crediamo che non ci siano margini, da nessun punto di vista, per scorciatoie immaginifiche come soddisfazione di logiche autoreferenziali né, d’altra parte, per concezioni che puntano ad uno sviluppo meramente progressivo (istituzionale o paraistituzionale) dello scontro tra interessi di classe inconciliabili.
Notiamo però l’emersione da più parti, anche a partire dai commenti al primo maggio milanese, di non condivisibili opzioni politiche che stanno interpretando la classe, se pur scomposta e diffusa nei mille rivoli della produzione post fordista, come generico e sociologico insieme di impoveriti o ancor peggio elabora una nuova forma di generiche eccedenze ponendole al di fuori di una più complessiva analisi di classe al pari del popolo degli abissi di Jack London (analisi dei primi del ‘900) e attribuendo loro un possibile ruolo intrinseco di rottura anticapitalista.
Diverse opzioni politiche che interpretano la ricomposizione sociale come meticciato (e torniamo alla sociologia) anziché come composizione strategica sul terreno del conflitto delle diverse contraddizioni materiali e rotture a partire dai bisogni vissuti da un proletariato diffuso in fabbrica e nei territori della metropoli imperialista.
Opzioni politiche con le loro diverse teorizzazioni che pescano indifferentemente tra il fenomeno molto pericoloso dei forconi giudicandolo di “rottura”, che assimilano dal grillismo forme di denuncia interclassista incorporando parole d’ordine contro la casta, che evidenziano una parola d’ordine arretrata, quale la lotta all’austerità, fornendo un’irresponsabile sponda a chi parla di redistribuzione e di ritorno al keynesismo proprio nel momento in cui, al contrario, il capitalismo con il governo Renzi procede con ogni mezzo al tentativo di porre le basi di nuovi processi di riaccumulazione a spese di diritti e livelli salariali.
Rincorrere gli aspetti fenomenici prodotti dall’acuirsi delle contraddizioni sarà forse più facile per un riscontro immediato a una facile denuncia populista ma, crediamo, possa solo riportare all’interno dei movimenti la qualunquista genericità dell’insofferenza ai “politici”, alla “casta”, agli sprechi, a Equitalia, alla stessa idea di ricchezza (degli altri) senza essere in grado di seminare un’idea di alternativa sistemica. Non dovrebbe essere necessario ricordare la cassa mutua del fascismo o le attuali proposte di redistribuzione su base etnica della Lega per affermare che la pratica del soddisfacimento di un bisogno non è rivoluzionario in sé e che i settori sociali coinvolti in un conflitto non sono più o meno rivoluzionari in base alla presunta radicalità dei comportamenti.
Crediamo infatti che sia necessario e doveroso metter mani nelle contraddizioni reali fino a sporcarsele, ma che ogni sforzo vada soprattutto indirizzato a costruire un’ aggregazione che, esprimendo un punto di vista di classe, possa attrarre altri settori sociali nella possibilità di trasformazione radicale dell’esistente.
Ancora una volta è proprio dal conflitto tra capitale e lavoro che possiamo e dobbiamo ripartire/continuare, con la consapevolezza che molto è cambiato nella composizione stessa della classe, nella comprensione di una sempre più evidente proletarizzazione dei ceti medi e che possiamo forse cominciare a parlare di una sacca di disoccupazione organica alla crisi non più semplicemente assimilabile ad un esercito industriale di riserva ma assimilabile a un sottoproletariato tenuto ai margini dell’organizzazione capitalistica del lavoro. Tendenza al ghetto sociale già in atto negli Usa, come nell’Inghilterra del dopo Thatcher o nella Francia delle banlieue, ma che in Italia deve ancora affermarsi come prodotto sedimentato di una stratificazione di contraddizioni anche diverse (espulsione dal lavoro, mancanza di casa, ecc.).
Ancora una volta è però proprio dal nodo primario del conflitto tra interessi di classe inconciliabili – e la crisi ce ne offre l’occasione – che dobbiamo ripartire/continuare per costruire un blocco sociale che si opponga ai tentativi del capitalismo di far ripartire processi di accumulazione che crediamo saranno sempre più congiunturali e a macchia di leopardo in una condizione di scontri intercapitalistici sempre più accentuati (senza voler esprimere con ciò tout court una deterministica analisi di tendenza alla guerra).
Un blocco sociale in grado di superare corporativismi ed essere elemento trainante per ricomporre in un’unica complessiva prospettiva di effettiva rottura anticapitalista tutti i diversi soggetti sociali con le proprie specifiche contraddizioni.
Uno blocco sociale a partire dalla classe “per sé” che sia in grado di approcciarsi al diritto alla casa come riappropriazione di una parte di salario estorto ai proletari e non solo quale soddisfazione dei bisogni di una moltitudine povera o impoverita. Che parli di sanità come affermazione di un diritto la cui estensione e qualità è oggettivamente vincolata all’espressione di rapporti di forza più avanzati e a un avanzamento di livelli salariali e diritti sociali e non ad un concetto interclassista di cittadinanza. Che difenda la scuola pubblica non come status quo attaccato dalla privatizzazione neoliberista ma come terreno più avanzato di scontro culturale per l’affermazione di chiavi interpretative in una formazione culturale non meramente asservita all’ingresso da neo-sfruttati nel mercato del lavoro. Che sappia produrre una cultura alternativa in termini di valori non assimilabili alla mercificazione della proprie vite demolendo i valori imperanti di individualismo e meritocrazia.
Con queste chiavi interpretative ogni minimo segnale di conflitto deve confluire in un alveo di classe che possa combattere contro interessi oggettivamente incompatibili, ormai ben al di fuori di un patto sociale finito e sepolto con la produzione di tipo fordista (che peraltro semplicemente redistribuiva reddito a patto di un esponenziale arricchimento della classe al potere).
Nella consapevolezza che d’ora in avanti, nel quadro di un cambio paradgmatico di società quale quello affermato dal governo Renzi, crediamo difficile il raggiungimento di elevati e definitivi avanzamenti materiali e vertenziali, comunque da rafforzare e sostenere quali elementi effettivi di resistenza autorganizzata alla ristrutturazione capitalista (le lotte nella logistica ne sono esempio emblematico).
Crediamo invece che a partire da ogni lotta si possa e si debba provare a dare forza ad un’idea alternativa di società senza più classi, un immaginario di trasformazione radicale dell’esistente a partire dalla concretezza di ogni lotta di fabbrica, dai magazzini della logistica, dai quartieri per il diritto alla casa e ad una qualità superiore di vita, contro ogni discriminazione sessista o razzista.
Provando a guardare la luna e non sempre solo il dito che la indica.
I compagni e le compagne del Csa Vittoria
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