Un torto subito da un lavoratore è un torto fatto a tutti (IWW)

Note Cobas per l’audizione alla Commissione Lavoro del Senato del 25 febbraio 2015

Postato il 28 Febbraio 2015 | in Italia, Lavoro Privato, Lavoro Pubblico, Scenari Politico-Sociali, Sindacato | da

NOTE DELLA CONFEDERAZIONE COBAS SUI DISEGNI DI LEGGE N°1148 E 1670 “REDDITO DI CITTADINANZA E SALARIO MINIMO ORARIO”, PRESENTATE NELL’AUDIZIONE DELLA COMMISSIONE LAVORO DEL SENATO IL 25.2.2015

salario minimoLa Confederazione Cobas auspica che si giunga anche in Italia a quanto già vige in Europa, almeno dal dopoguerra, ad una legge che rispetti i principi basilari della nostra Costituzione ( artt, 1,2,3,31,32,35,36,37,38) e del modello sociale europeo in merito al “reddito sociale o reddito minimo garantito”. Ovvero, a quella misura di solidarietà( nell’attesa che vengano rimosse le cause della disoccupazione e dell’esclusione sociale) che qualifica il modello europeo nella tutela della dignità delle persone , sancito come valore fondante dell’Unione dall’art.2 del Trattato TUE e ribadito dalla Carte di Nizza artt.1 e 34.

Già nel 1992 la Commissione UE adottò la Risoluzione 441 che definiva il “reddito minimo garantito, un diritto sociale fondamentale”, invitando gli stati membri a dotarsi di leggi in tal senso( in ciò amplificato dalla “ Lisbon Agenda” e da ” Europa 20+20″ prevedente la ” riduzione di 20 milioni di poveri nella UE”).

Ancora nell’ottobre 2010, una Risoluzione del Parlamento UE sottolineava l’urgenza dell’introduzione in tutti gli stati di normative di ” garanzia del reddito minimo per quanti sono a rischio di esclusione sociale”, in modo da garantire almeno un reddito pari al 60% della media salariale del paese, oltre ad altro sostegno per l’affitto,le bollette,i trasporti,la sanità”.

La Risoluzione precisava che la ” misura costituisce un diritto fondamentale, tale da evitare forme di controllo e condizionamento incompatibili con la dignità personale(vedi obbligo a lavori non coerenti con mansioni e titolo di studio) ” .

Ma la Risoluzione UE è rimasta purtroppo solo un “invito circostanziato”, tuttora non accolto dallo stato italiano, tale da pensare ed agire per una Direttiva UE che finalmente si imponga, in quanto :

– paesi come Italia,Grecia,Ungheria, in mancanza di una regolamentazione obbligatoria potrebbero soprassedere da attuarla , come hanno fatto finora;

– in alcuni stati vengono applicati ” redditi inadeguati ai bisogni primari” : nella crisi la tendenza è a tagliare ulteriormente;

– alcuni paesi prevedono controlli e obblighi incompatibili con la natura fondamentale del diritto, tale che il ” reddito minimo” finisce con l’essere una misura di ” workfare” , piuttosto che di welfare inclusivo.

La Confederazione Cobas, già negli anni ’90 in alcune sue componenti e dal 2002 nel suo insieme ha contribuito a rivendicare l’obiettivo del “reddito sociale” a fronte della penuria di lavoro-reddito e della dilagante precarietà dell’esistenza, procurata anche da inique leggi, quali ” il pacchetto Treu, la legge Biagi, ed oggi il Jobs act “.

La Confedreazione Cobas ha contribuito alla formulazione della proposta di legge presentata 13 anni fa alla Camera , dal titolo ” Istituzione del reddito sociale per il sostegno contro la disoccupazione e la precarietà”(vedi allegato) e alla conseguente campagna di ausilio che ha toccato tutte le regioni e gran parte dei paesi, sopratutto a Sud e nelle Isole.

Fino al risultato concreto, che si è finalmente conquistato nella R.Lazio con la Legge Regionale 4/2009, che ha introdotto e applicato per la prima volta in Italia il ” reddito minimo garantito”(vedi allegato).

Questa legge ha sancito alcuni principi fondamentali :

– l’universalità del diritto,inteso a conseguire il reddito minimo, non necessariamente legato alla perdita del lavoro:

– il diritto individuale, slegato dalla composizione familiare :

– un condizionamento attenuato, che rispetti le capacità professionali e il titolo di studio;

– la direzione-controllo pubblici degli Enti Locali nell’individuazione degli aventi diritto;

– la necessità che gli Enti Locali “aggiungano reddito indiretto” a sostegno di affitto,bollette,trasporti,sanità,etc.

L’idea guida è stata quella di affermare il diritto al reddito “quale diritto di cittadinanza”, tale da sottrarre il disoccupato,l’inoccupato, il precario, dal ricatto di accettare “qualsiasi offerta lavorativa” , non rispettosa delle proprie capacità dimostrate nell’occupazione precedente.

I Disegni di Legge in discussione c/o la Commissione Lavoro del Senato, pur apprezzabili di fronte agli abissali ritardi e al vuoto esistente ,non rispondono pienamente ai requisiti da noi enunciati e rivendicati.

Mancano ancora i caratteri fondativi ” dell’individualità e della congruità” , ovvero la necessità di un provvedimento che non risponda in termini assistenzialistici alla povertà, bensì contribuisca ad avviare la risoluzione della precarietà.

L’universalità del diritto spetta all’individuo e non alla composizione familiare : in Francia, è possibile usufruire di un anno e più di reddito minimo per ” potersi preparare ad un concorso, per preparare esami universitari, per formarsi in vista di una nuova e migliore occupazione subordinata o autonoma, e altro ancora” .

L’attivazione del reddito minimo va garantita ai “residenti” e non esclusivamente ai cittadini o a chi ottiene cittadinanza.

Alla soglia del reddito minimo vanno portati ad usufruirne tutte le persone che ne sono al di sotto : i i/le pensionati/e di invalidità, altre pensioni da lavoro, casalinghe, etc.

La congruità, deve ammettere la disponibilità a ” lavori equivalenti a mansioni già svolte e al titolo di studio” e non l’obbligo a subire qualsiasi lavoro, quali ad esempio quelli previsti dall’accordo stipulato il 20.1.2015 tra Ministero Lavoro,Anci e 3° Settore ” Protocollo d’intesa per promuovere la diffusione e l’attualità di iniziative sperimentali, finalizzate al coinvolgimento di persone beneficiate di strumenti di sostegno al reddito , in attività di volontariato a fini di utilità sociale in favore di Comuni e Enti Locali.

Ci auguriamo che questo indirizzo interlocutorio espresso con queste note trovi accoglienza, nell’interessa dell’enorme platea di disgraziati che attendono questo provvedimento , in funzione della possibilità di non essere costretti a mendicate la sola sussistenza, bensì di trovare ancora la forza di lottare per la propria dignità e per il benessere collettivo.

Quanto poi al ” Salario Minimo Orario” (SMO) – art. 19 del disegno di legge n°1148 – rimangono le preoccupazioni legate alle vicende in corso che vedono da parte governativa agire lo smantellamento di ciò che è stato il Diritto del Lavoro, con annessi Statuto dei Lavoratori e Contrattazione Collettiva.

In merito a quest’ultima, è progressiva la volontà di parte padronale di cancellare la ” funzione solidale” rappresentata dai Contratti Nazionali, Nello specifico , questa prendeva corpo a partire dall’aggiornamento della ” parte economica”( a partire dagli aumenti salariali sui minimi, e il relativo aggancio ad altri istituti contrattuali) su cui si innervava la ” parte normativa”, che fungeva da corollario all’intero impianto contrattuale.

Se si giunge a fissare per legge il ” Salario minimo orario” (e il suo adeguarsi nel tempo) c’è il severo rischio della perdita della contrattazione, sia della parte economica che di quella normativa, ovvero la decadenza del Contratto Collettivo di Lavoro.

Quanto avviene nel Gruppo FCA(già Fiat) sta lì a testimoniarlo. Prima con lo sganciamento dal Contratto Metalmeccanici per quello di ” Gruppo Fiat”( con minimi salariali inferiori al CCNL) poi, con i soli ” contratti di stabilimento” e relativa perdita della parte normativa solidale, ora applicata adeguando il solo interesse aziendale.

Se lo spirito contenuto dall’art. 19, quello di fissare in 9E(lordi) il minimo valore orario della forza lavoro di qualsiasi fattispecie contrattuale, rappresenta una buona intenzione, la sua applicazione di fronte alla totale lesione dei diritti dei lavoratori e al dilagante “lavoro nero”, rimane incerta e/o sconfessata.

Ad ogni modo, non va proceduto per ” legge delega al governo”, visto il drastico uso che ad esempio ne ha fatto il governo della delega sul Jobs act, dove non ha minimamente tenuto conto del parere unanime delle Commissioni Lavoro di Camera e Senato, in merito alla cancellazione della norma relativa ai ” licenziamenti collettivi”.

Roma 25 feb 2015                                          

CONFEDERAZIONE COBAS

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