November 24, 2024
Nel 1966, nella sua prima edizione, Operai e capitale termina con l’impegno a studiare “che cosa è successo dentro la classe operaia dopo Marx” (Operai e capitale, Einaudi, Torino; 1966, p.263). Il postscriptum del 1970 alla seconda edizione di Operai e capitale, analizza la classe operaia nel New Deal e ne descrive le trasformazioni della composizione tecnica (fordismo) e della composizione politica (il sindacalismo ed il riformismo dal New Deal allo Stato del welfare, appunto). Tronti non riconosce tuttavia, per la classe operaia, una differenza strutturale di composizione tecnica e politica fra fordismo e anni ‘70. Non vi è modificazione dei processi lavorativi, taylorismo e keynesismo restano egemoni ed i rapporti politici di classe tuttora dominati dallo Stato-piano. Tra la prima edizione e la seconda di Operai e capitale c’è stato tuttavia il ‘68: a Tronti non sembrava però che fosse avvenuta gran cosa. La classe operaia nel ‘68 e seguenti (in particolare “l’autunno caldo” italiano) è ancora tutta dentro fordismo e New Deal. Affermandolo, Tronti aveva, a mio parere, insieme ragione e torto.
In superficie la situazione sembrava eguale, il “processo lavorativo” non era mutato. Ma, guardando più a fondo, c’era una cosa che invece stava mutando e della quale anche il ‘68 era un “sintomo”. Mutava il “rapporto di capitale”, la forma dei processi produttivi, il “modo di produzione”. Il ‘68 aveva dato inizio a questa trasformazione. Ed aveva ancora ragione Tronti quando, con molta circospezione, sospettava, nel postscriptum del 1970 che qui stesse comunque rivelandosi una nuova fase, al termine della lunga epoca del fordismo. Mentre in quella fordista, operai e capitale si erano scontrati dentro il capitale, ora invece si dava una nuova condizione: classe operaia e capitale si scontravano dentro la classe operaia. Tronti proponeva di studiare questo passaggio. Era una corretta intuizione. Se si metteva da parte l’illusione, da taluni coltivata, che quel “dentro la classe operaia” significasse “dentro il Partito”, bisognava riconoscere che, nel nuovo rapporto antagonista seguito al ‘68, il capitale pagava il superamento del fordismo e la difficile vittoria riportata sulla classe operaia fordista, con l’obbligo a stabilire l’asse del suo comando “dentro la classe operaia” e a ristrutturare il proprio progetto di accumulazione proprio lì dentro – subendo con ciò un radicale mutamento di struttura. “Dentro la classe operaia”, e cioè riconoscendo – il capitale stesso – che “il principio è la lotta di classe operaia” e che “a livello di capitale socialmente sviluppato, lo sviluppo capitalistico è subordinato alle lotte operaie, viene dopo di esse e ad esse deve far corrispondere il meccanismo politico della propria produzione” (Operai e capitale, op.cit., p. 89) – e cioè, infine, il capitale doveva comprendere che la sua stessa composizione tecnica (il concetto è quello marxiano di “composizione organica” del capitale) andava modificata per poter funzionare (id est, produrre e comandare) su una nuova composizione politica della classe operaia. C’era stato di mezzo un bel trambusto: la Trilaterale, per esempio, lo chiamava ’68, altri non lo chiamavano così. Di fatto una mutazione radicale era imposta al capitale. Essa riguardava lo spazio produttivo (cambiava il luogo della produzione) e la dimensione della temporalità (si trasformava radicalmente la “giornata lavorativa”).
Leggi tutto l’articolo di Toni Negri al seguente indirizzo:
Lascia un commento