November 23, 2024
Nello scacchiere caraibico la Cina ha mosso pedine importanti negli ultimi due anni, conquistando nel 2016 la «regina» Giamaica, prima con l’inaugurazione della nuova autostrada che da Ocho Rios porta a Kingston, poi con la ripresa delle trattative per la concessione di Goat Island, ai fini dell’apertura di un mastodontico hub commerciale. Non basta: l’acquisizione della cava di bauxite Alpart, la più grande dell’isola, intacca il predominio russo-statunitense, in joint venture con il governo giamaicano, sull’estrazione. E poco importano le proteste di ambientalisti e geologi, etichettati dal quotidiano nazionale The Gleaner come «romantici estremisti».
Le trattative diplomatiche iniziate nel 2014 con l’intervento dell’ambasciatore Dong Xiaojun, sono culminate nell’accordo firmato dall’allora governo a guida Pnp (People’s National Party) di Portia Simpson e l’inaugurazione, nel dicembre 2015, dell’autostrada che congiunge Ocho Rios, il centro turistico più ricco, con la capitale Kingston. Soprannominata Beijing highway, l’autostrada di Pechino, dopo il saggio rifiuto di Usain Bolt di apporre il suo nome all’opera, l’infrastruttura è costata 600 milioni di dollari, è lunga 67 km ed è stata interamente costruita dalla manodopera specializzata cinese, sotto le direttive degli ingegneri Chec (Chinese Harbour Engineering Company), l’impresa che, previo pagamento di royalties al governo giamaicano e assunzione di lavoratori locali per la manutenzione ordinaria, ha la concessione esclusiva sui pedaggi autostradali.
Pedaggi che sono diventati esosi da alcuni giorni, con un aumento di circa il 30% già programmato ai primi dell’anno. Un’autovettura di media cilindrata paga l’equivalente di 10 euro, che salgono a 40 per Suv e furgoni; 60 e oltre gli autoarticolati, che spesso e volentieri tornano poi a incastrarsi nelle anguste strade provinciali.
Il nuovo ministro dei Trasporti ha provato a opporsi, ricordando le frane che da mesi affliggono i segmenti all’altezza di Linstead, e la scarsa illuminazione che mette a rischio la sicurezza. Niente da fare, come parlare al muro, anzi, alla muraglia, che approfitta della debolezza del governo laburista di Andrew Holness espresso dal voto dello scorso febbraio.
Il pesante prestito di 327 milioni, concesso a giugno alla Giamaica per il rinnovo della rete autostradale nel Sud dell’isola, ha trasformato questa debolezza in resa totale. La dipendenza nei confronti di Fmi e Banca mondiale aggiunge così un nuovo creditore alla sua lista. Tenendo conto che la povertà è raddoppiata dal 2007, e che non sono mai state chiarite le cifre esatte sull’occupazione, stimate in poco più di un centinaio tra casellanti e operai, l’operazione appare poco utile ai fini di ridurre il gap, ma assai vantaggiosa per la cordata imprenditoriale cinese.
Le frane frequenti danno ragione alla profezia di uno degli «estremisti», il geologo Simon Mitchell dell’University of West Indies (Uwi); si era sgolato l’anno scorso, avvertendo che proprio a Treadways, nei pressi di Linstead, vi fossero depositi sedimentari molto fragili; ciò aveva ritardato i lavori di mesi, ma alla fine l’esigenza del governo di dare una strofinata al proprio prestigio appannato aveva prevalso. Cosi facendo, gli smottamenti causati dai lavori, aggravati dalla mancanza di reti protettive, hanno prodotto frane che in caso di terremoto potrebbero trasformarsi in una vera e propria calamità.
«We want our beach back!», rivogliamo indietro la nostra spiaggia… L’appello concitato di pescatori e tour-operator, che lamentano l’inquinamento della barriera corallina di Ocho Rios, causato dai lavori di scavo tracimati a valle, si aggiunge a quello della comunità rurale di Treadways, per via delle sorgenti naturali di acqua potabile distrutte dal passaggio delle ruspe. La Ncw (National Water Commission), compagnia statale che opera in regime di monopolio, soddisfa solo il 70% della domanda locale, molte zone sono tagliate fuori, e comunque non in grado di pagare le esorbitanti bollette. I rifornimenti con autobotti a compensazione dei danni saranno gratuiti solo per qualche mese.
È però Goat Island l’attuale pomo della discordia, con ong locali e internazionali a difesa dell’ecosistema e Chec che vorrebbe costruire sull’isolotto un nuovo porto con annesso centro commerciale, approfittando del passaggio di navi-cargo e da crociera creato dall’ampliamento del canale di Panama. Progetto da 1,5 miliardi di dollari e migliaia di posti di lavoro potenziali. Difficile dire di no; peccato solo che Goat Island sia la patria di specie rarissime, quali un’iguana endemica, e riserva ittica inesauribile, che sarebbe inevitabilmente decimata.
La Cina potrebbe spostare il suo progetto a Cuba, ma qui in Giamaica può contare sull’appoggio del Gleaner, il più importante organo di stampa nazionale, opposto al National Geographic, che supporta invece gli ambientalisti. I quali festeggiano, dopo tre anni di lotte, le recenti rassicurazioni del governo sulla necessità di salvaguardare una delle aree più protette di tutta la Giamaica. Ma anche la compagnia cinese può tirare un sospiro di sollievo, perché il governo al contempo ha voluto ribadire che il progetto si farà, altrove ma si farà.
La diversificazione è l’asso nella manica del Dragone; l’acquisto della miniera di bauxite Alpart, firmata il 19 luglio da Jiuquan Iron & Steel Company (JisCo) per circa 500 milioni, di cui metà già versata ai russi di Uc Rusal che detenevano la proprietà, è il primo giant step cinese nel settore dell’estrazione.
La Giamaica è stata produttrice n°1 mondiale di bauxite, la materia prima da cui si ricava l’alluminio, con 15 milioni di tonnellate. Oggi Australia e Cina ne producono rispettivamente 60 e 40 tonnellate. I posti promessi sono 700; il governo ha raccomandato alla JisCo il rispetto dell’ambiente. Ma è difficile da ottenere: le scorie sono tossiche, sia per l’alluminio contenuto, che per la soda usata durante la lavorazione; i sedimenti hanno provocato a gennaio l’emergenza in Malesia nell’isola di Kuantan, interamente ricoperta di fanghi rossastri. Tutto dipende dall’attività di estrazione e dalle norme di sicurezza, che per tradizione l’investitore interpreta in modo molto soggettivo.
L’espansione cinese non si limita a infrastrutture e miniere; lo zoccolo duro rimane il commercio. Negli ultimi due anni, la costa Nord giamaicana ha visto spuntare come funghi negozi, magazzini all’ingrosso e supermarket ultramoderni a prezzi nazional-popolari. A Ocho Rios, la diaspora indiana che dominava da prima dell’indipendenza, ha ammainato bandiera, vendendo ai nuovi concorrenti licenze e terreni, utilizzati per erigere piazze e nuovi fabbricati. Rimangono loro i gift-shops turistici, sebbene il settore versi in profonda crisi.
Al Celeste Impero manca ora solo una banca, in Giamaica. A meno che il consorzio a guida cinese Aiib non decida di espandersi nei Caraibi.
Flavio Bacchetta
tratto da
Lascia un commento