December 26, 2024
Postiamo questo interessante articolo di Roberto Ciccarelli tratto da Il Manifesto del 02 novembre
69 mila docenti, di cui 26 mila sul sostegno, e i 16 mila lavoratori Ata che saranno assunti nei prossimi tre anni dal Dl Istruzione (n°104, ribattezzato «La scuola che riparte»), approvato giovedì alla Camera con 195 voti favorevoli, 7 contrari e 78 astenuti, costeranno zero per i primi otto anni. Lo stipendio annuale base di un docente della scuola primaria è in media di 27.015 dollari, cioè 20 mila euro, uno tra i più bassi dei paesi Ocse. A fine carriera, cioè tra 30 o 40 anni, dipende dal periodo di precariato, il docente assunto tra il 2014 e il 2016 rischia di non percepire 39.762 dollari, cioé poco più di 29 mila euro. Si tratta già oggi di uno stipendio medio inferiore di 3900 euro a quello degli altri paesi Ocse (45.100 dollari). Ammesso, e non concesso, che questi numeri corrispondano oggi alla reale retribuzione di un insegnante delle scuole primarie che qui abbiamo preso ad esempio, tra più di trent’anni lo Stato italiano potrà guadagnare ben più di 3900 euro grazie al blocco della progressione di carriera contenuto nel Dl. Senza contare i risparmi che realizzerà sulla pensione dei neo-assunti.
C’è dunque un’unica differenza tra il docente neo-assunto e quello precario. Il primo ha la sicurezza di percepire ogni mese uno stipendio, il secondo resterà legato alla sua posizione in graduatoria o alle chiamate dei presidi. In questo caso lo stipendio varia in base al numero di ore lavorate. In virtù della cancellazione del primo gradone degli scatti stipendiali (3-8 anni dall’assunzione), i dipendenti continueranno ad essere pagati come precari. «È una situazione contraria al diritto comunitario – afferma Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – l’Europa dice che il periodo di preruolo dev’essere considerato come di ruolo, quindi non si possono congelare gli anni di servizio. Nel caso delle stabilizzazioni dei precari è escluso che in nome delle ragioni finanziarie si possa derogare al diritto comunitario che stabilisce la parità di trattamento tra il personale che svolge lo stesso ruolo sia precario che assunto. In caso contrario lo Stato rischia di essere condannato a pagare cifre enormi. Questo continua ad essere un paese dove i diritti bisogna conquistarseli a suon di carte bollate».
Tra questi dettagli estremamente tecnici si nasconde dunque una spending review che attacca i diritti costituzionali dei lavoratori. Questa manovra è già in atto da anni ed è stata prolungata dalla legge di stabilità fino al 2018 ai danni di tutti i dipendenti pubblici. Lo Stato italiano, noto come il più grande sfruttatore di lavoro precario al mondo, continuerà a risparmiare non rinnovando i contratti dei precari della PA e tagliando le loro retribuzioni e pensioni. Il decreto Scuola ne è un esempio, tra i tanti. Bisogna studiarlo perché il suo modello sarà presto su grande scala dal Decreto D’Alia sulla pubblica amministrazione con annessi licenziamenti dei precari che non hanno lavorato tre anni negli ultimi cinque. Sui 69 mila fortunati saranno all’incirca 14 mila i docenti assunti ogni anno nei prossimi tre. Questo è il risultato di un dimezzamento rispetto al precedente piano triennale di assunzioni, provocato dal blocco del turn-over ma soprattutto dalla riforma Fornero che ha innalzato l’età pensionabile dei dipendenti pubblici.
Ma come, tutto questo sarebbe contenuto nel primo provvedimento che, dopo anni, stanzia 465 milioni di euro per la scuola? Proprio quello interpretato dalle larghe intese come un «segno di speranza»? Quello che stanzia il 3% di 947 milioni confiscati alle mafie per il diritto allo studio, su emendamento di Celeste Costantino di Sel e indicazione dell’associazione DaSud? Questa è la realtà in un paese dove gli «investimenti» sono il risultato delle compatibilità economiche dell’austerità. «Segnali come questo sono importanti, ma non bastano – dicono gli studenti dell’Udu – il Dl stanzia solo briciole, mancano 174 milioni per il diritto allo studio». Il governo ha anche evitato un’alluvione di ricorsi al Tar. Con il Dl ha ripristinato il contestatissimo «bonus maturità», una sanatoria per i duemila esclusi dai test alle facoltà a numero chiuso a settembre. La copertura finanziaria del provvedimento (da approvare entro il 12 novembre al Senato) è stata fonte di polemiche. Su 465 milioni, ben 413 verranno dall’aumento delle accise sugli alcolici. Al momento non è previsto l’aumento sulle cartine con cui si rolla il tabacco. Misure che hanno spinto alle dimissioni il relatore del provvedimento Giancarlo Galan (Pdl) e alla protesta dei produttori di birra. Al pub, o al ristorante, l’euro in più necessario per bere un bicchiere contribuirà ad un posto di lavoro nella scuola. Uno degli emendamenti più importanti al Dl Istruzione approvato giovedì alla Camera, e dalla prossima settimana in Senato per l’approvazione definitiva entro il 12 novembre, è stato proposto da Celeste Costantino, deputata di Sel e già portavoce dell’associazione daSud. Attualmente tutte le somme confiscate alle mafie sono destinate al fondo unico della Giustizia che a luglio 2013 disponeva di 947 milioni di euro, di cui 72,7 da versare al ministero dell’Interno. Con il Dl Istruzione, qualora fosse approvato nella sua forma attuale, il 3% del denaro confiscato ai clan mafiosi sarà destinato alle borse di studio. In questo fondo c’erano nel 2009 246 milioni, come ricorda il coordinamento universitario Link. I vari tagli gelminiani lo hanno ridotto a 103. Secondo gli studenti sarebbe necessario un rifinanziamento pari a 250 milioni di euro. «Il denaro servirà al finaziamento dei servizi per gli studenti – afferma Costantino – vigileremo affinchè il Senato confermi la decisione di Montecitorio. Stiamo depositando una proposta di legge per destinare anche gli immobili confiscati agli enti regionali per il diritto allo studio. Potrebbero diventare residenze per gli studenti».
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