November 25, 2024
Torno a Diyarbakir neanche tre mesi dopo le elezioni politiche di novembre, a cui ho partecipato come osservatrice. Allora la città era animata e brulicante; regnava la speranza che l’HDP, il partito democratico filocurdo, potesse ripetere il successo ottenuto nel voto di giugno, quando per la prima volta era riuscito ad entrare in parlamento, superando la soglia di sbarramento del 10%. Certo, a Sur, la città vecchia (patrimonio Unesco insieme alle splendide mura di granito nero che la circondano) avevo visto i segni degli scontri a fuoco tra l’esercito e i cittadini che avevano proclamato un pacifico autogoverno: il coprifuoco che si era protratto per quattordici giorni, c’erano state vittime civili e case e moschee portavano i segni dei proiettili, ma la tensione non riusciva a soffocare la vita quotidiana. Poi il voto ha restituito a Erdogan la maggioranza assoluta (ma l’HDP è riuscito di nuovo a superare il 10%), e il timore di un inasprimento della repressione si è fatto concreto.
Questa volta sono con una delegazione di avvocati turchi ed europei. Veniamo a Diyarbakir per raccogliere testimonianze e documentazione sulle violazioni dei diritti umani commesse dalla Turchia nei confronti dei suoi cittadini curdi. Partiamo sapendo che gran parte di Sur è sotto coprifuoco da 52 giorni consecutivi e che la situazione è molto tesa, ma quello che ci aspetta al nostro arrivo va oltre la nostra immaginazione.
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