November 23, 2024
Guerre del golfo 1991/2016. Era in gioco non il Kuwait ma la leadership del mondo post-bipolare
Il mondo era cambiato, doveva cambiare o forse, più propriamente, stava cambiando. Nessuno poteva dire con certezza come sarebbe cambiato. Il 1989 era alle spalle. La simbologia del Muro riempiva l’immaginario. Il violoncello di Mstislav Rostropovich era risuonato a Berlino sull’antico confine. Bush pensava a come gestire in futuro le alleanze della guerra fredda. Gorbaciov tentava di salvare i resti dell’Unione Sovietica. Fu necessario un azzardo di Saddam Hussein, considerato un satrapo di provincia e quindi manipolabile, per accelerare l’ora della verità sul bipolarismo, sull’Onu, sull’Europa e sul Sud del mondo rappresentato intanto dall’Iraq e dal Medio Oriente.
Il colpo di mano che portò all’occupazione irachena del Kuweit nacque come un regolamento di conti fra governi arabi al termine della lunga guerra fra Iraq e Iran, lanciata da Saddam nel 1980 e chiusa nel 1988 con un nulla di fatto. Di per sé lo scontro fra Iraq e Iran era un capitolo ulteriore della storia iniziata nel VII secolo con l’espansione dell’islam e dell’arabicità verso est. La rivoluzione di Khomeini era uscita dagli schemi che parevano acquisiti introducendo la religione al posto delle ideologie mondane. All’interno della comunità musulmana, tornò d’attualità la faida fra sciiti e sunniti. L’Iraq, dove gli sciiti erano maggioranza ma con un apparato di potere tradizionalmente controllato dall’establishment civile e militare sunnita, si scoprì vulnerabile.
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